L’iniziativa è stata ideata dall’associazione Sant’Anselmo-Imago Veritatis con la collaborazione di monsignor Timothy Verdon, direttore del museo del Duomo di Firenze. Andrea Gianni, presidente dell’associazione, sul capolavoro del Beato Angelico: “Non una fruizione meramente estetica o emozionale, bensì come invito a mantenere uno sguardo contemplativo sulla passione e morte di Cristo”.
Un’opera di assoluta bellezza artistica e spirituale: è il “Compianto sul Cristo morto” del Beato Angelico (1436). Il dipinto, una grande tempera su tavola ricevuta in prestito dal museo di san Marco di Firenze, verrà esposto dal 16 aprile al 30 giugno nel museo diocesano di Torino, la cripta del duomo, in occasione dell’Ostensione della Sindone (19 aprile – 24 giugno). “Non c’è nessuna relazione diretta, ovviamente, tra un quadro e l’immagine del Telo – ha precisato l’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia, presentando l’evento alla stampa -. Ma l’uno e l’altra ci richiamano con forza a quel ‘vedere’ che è il centro del pellegrinaggio sindonico”. L’iniziativa è stata ideata dall’associazione Sant’Anselmo-Imago Veritatis con la collaborazione di monsignor Timothy Verdon, direttore del museo del Duomo di Firenze e membro del direttivo dell’associazione, e realizzata con la Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino e con il Museo Diocesano; un importante apporto è stato fornito anche dal partner “Banca C.R.Asti”. Info e biglietti su www.museodiocesanotorino.it. Dell’evento, che è possibile seguire anche su Twitter all’hashtag #Angelico2015, e per il quale sarà disponibile da aprile un’app mobile su Apple Store (per iOs) e su Google Play Market (per Android), abbiamo parlato con Andrea Gianni, presidente dell’associazione Sant’Anselmo. Perché l’esposizione di questo capolavoro, e proprio nella cripta, esattamente sotto la Sindone? “Concepito come evento di eccellenza all’interno del programma dell’Ostensione per accompagnare e completare idealmente il percorso sindonico, il progetto è stato accolto con grande favore da monsignor Nosiglia, che ha sottolineato come questa mostra rappresenti un contributo culturale di alto profilo che la diocesi offre alla città. L’idea è stata proporre una sola opera, ma di grande valore, non per una sua fruizione meramente estetica o emozionale, bensì come invito a mantenere uno sguardo contemplativo sulla passione e morte di Cristo per riflettere anche sul senso della nostra vita e della nostra morte. Il soggetto, popolare nell’arte sacra a partire dal XIV secolo e soprattutto nel Rinascimento, ha un legame anche visivo con la Sindone: Cristo è disteso su un telo finissimo. L’opera era originariamente la pala d’altare della chiesa di Santa Maria della croce, appena fuori dalle mura di Firenze presso la Porta della giustizia, sul percorso dei condannati al patibolo. Una tappa per offrire loro conforto e l’ultima possibilità di incontrare Cristo, anch’egli ‘giustiziato’”. Coronamento della visita alla Sindone e richiamo a un “prendersi cura” dei più deboli? “Sì, è anche un’icona della sofferenza e della fragilità, in continuità con l’immagine della Sindone, e la cura pietosa del corpo di Gesù deposto dalla croce vuole esprimere la preferenza della Chiesa verso malati e disabili – evidenziata anche dall’impostazione del percorso di visita – e l’amore con cui siamo chiamati al servizio dei più deboli”. La “via pulchritudinis” mezzo privilegiato di evangelizzazione, come ricorda Papa Francesco nell’Evangelii gaudium? “Il Beato Angelico ha la capacità di rendere la bellezza anche nelle circostanze più drammatiche. Una bellezza che parla al cuore dell’uomo portando con sé gli echi del vero e del bene. Il ‘Compianto’ è probabilmente ispirato anche alla Sindone che cominciava ad essere conosciuta fuori dalla Francia proprio negli anni in cui è stato eseguito. Un esempio significativo di come la proposta della fede sia un invito alla verità e alla bellezza: è la bellezza a mostrare la verità”. Nell’ambito dell’Ostensione è in programma nella reggia di Venaría anche una mostra sulla preghiera… “La mostra è curata da Franco La Cecla e da Lucetta Scaraffia. Vogliamo presentare la preghiera come manifestazione del senso religioso insito nella struttura antropologica di ogni uomo e che abbraccia tutte le culture del mondo come ricerca dell’infinito, della verità, di Dio. Nel nostro mondo globalizzato e caratterizzato da immensi movimenti migratori che spesso creano contrasti e chiusure, o ci riconosciamo fratelli su un punto originario, o finiremo per massacrarci”. Queste iniziative vogliono dire anche uno stile di “presenza culturale” della Chiesa in Italia? “Per decenni la cultura è stata da molti ritenuta un elemento marginale, ma senza la conoscenza della storia dell’uomo e dello sviluppo del suo pensiero, come si fa ad avere criteri di giudizio e di orientamento? Di questa débâcle della cultura ha fatto le spese anche la Chiesa che oggi deve accogliere la sfida di essere presente nei luoghi e momenti più significativi della vita culturale pubblica del Paese, in dialogo con le sue espressioni. Impresa non sempre facile, ma alla quale non ci si può sottrarre e in cui è impegnata anche la nostra associazione che cura, tra l’altro, la presenza della Cei al Salone del libro di Torino (14-18 maggio). In questo orizzonte si colloca anche il concorso di opere di giovani artisti che promuoviamo, sempre nell’ambito dell’Ostensione, con la Fondazione Crocevia, in collaborazione con l’Accademia Albertina di Belle arti di Torino”. |
Fonte. Agenzia SIR |