Agli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana ad Ariccia, il padre francescano Giulio Michelini ha tenuto stamane la sua terza meditazione sul tema “Il pane e il corpo, il vino e il sangue” a commento del brano evangelico dell’Ultima cena (Mt 26,20-35).
La meditazione riguardante la cena di Gesù è partita da un elemento che caratterizza la dimensione umana del mangiare insieme. L’ultima cena di Gesù, infatti – osserva il predicatore – inizia con la frase: “Si mise a tavola coi dodici”. Stare alla stessa tavola vuol dire sperimentare la bellezza dello stare insieme, e ricevere quello che è stato preparato da altri come un atto d’amore. Il Risorto stesso, secondo l’evangelista Giovanni, aveva preparato il cibo per i suoi discepoli, sul Lago di Galilea (cf. Gv 21,9). Il cibo e il mangiare mettono però in luce anche il peccato dell’uomo, come anche il suo egoismo e la sua fragilità.
Non ci sfugge certo – ha detto padre Michelini – la simbolica biblica della prima disobbedienza compiuta a causa del cibo (Gen 3,1), e del primo peccato mortale, l’omicidio di un fratello, avvenuto a causa della gelosia di Caino per l’offerta da parte di Abele di «primogeniti del suo gregge e il loro grasso» (Gen 4,4); non ci sfugge nemmeno il fatto che un’ulteriore divisione tra fratelli, Giacobbe ed Esaù, abbia luogo per la fame del secondo (Gen 25,34); e potremmo andare avanti così a lungo, fino a quanto possiamo leggere nella Laudato si’ a riguardo dell’egoismo in rapporto al cibo.
Mangiare del cibo è infatti segno in primo luogo di una vera e propria fragilità antropologica: è un bisogno che dice umanità e debolezza. Così ha scritto, commentando le «Regole per ordinarsi nel mangiare» date da Ignazio di Loyola per i suoi Esercizi spirituali, Jean-Paul Hernandez sj: «Ignazio ha colto il posto centrale che mangiare occupa nell’esperienza umana. Si potrebbe dire: dimmi come mangi e ti dirò chi sei. Mangiare è prima di tutto ricevere la vita da fuori di sé, cioè riconoscersi non autosufficienti. In altre parole: riconoscere il proprio limite. Mangiare insieme ad altri è confessare davanti ad altri questa condizione di creatura». Per questa ragione, gli angeli nella Bibbia non mangiano (e così, infatti, rileggono alcune fonti rabbiniche il testo di Gen 18,8, dove si dice il contrario).
Nella cena di Gesù – ha proseguito padre Michelini – emerge dunque anche questo elemento, che doveva covare da tempo: la consegna da parte di Giuda. Ma Gesù, proprio nella notte in cui veniva tradito, secondo la più antica versione della cena (1Cor 11) non ritira il suo dono, e dà tutto quanto gli rimaneva di poter dare: il suo corpo e il suo sangue. Il Verbo, il Figlio, aveva già offerto la sua divinità, egli che «pur essendo nella condizione di Dio» (Fil 2,6) non ritenne quello un privilegio: ora dona la sua umanità, cioè la sua carne, perché era in questa carne che quella Divinità, la Parola, era diventata tale. In questo modo, Gesù dona tutto se stesso, e non difende più nulla.
La lezione di Matteo dell’ultima cena – ha sottolineato – mette in risalto un elemento che ritroviamo solo qui, quello del sangue che sarà versato dalla croce per il perdono dei peccati. Finalmente, chi ha letto questo vangelo, scopre il significato del nome “Gesù”, e può conoscere il modo in cui il perdono dei peccati prenderà forma, quel modo in cui lo stesso Figlio di Dio, e con lui il Padre e lo Spirito, si sarebbero impegnati a dare la vita. Perché, come dice il Salmo, «l’uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo» (Sal 49,8) e nemmeno può, soprattutto, ripagare il prezzo dei propri errori e dei propri peccati. Solo Dio può riscattare l’uomo da se stesso e dal male.
Infine, padre Michelini ha posto tre domande per la riflessione. La prima domanda ci tocca da vicino, e riguarda il nostro rapporto col cibo. Penso di non sbagliare proponendo come confronto la settima regola di Ignazio di Loyola tratta da Le regole per ordinarsi nel mangiare per l’avvenire a cui ho accennato: «Bisogna evitare che l’animo sia tutto intento a quello che si mangia, e che uno mangi in fretta spinto dall’appetito; al contrario bisogna avere padronanza di sé, sia nel modo di mangiare sia nella quantità».
Nella seconda domanda, padre Michelini si chiede come sia possibile che noi cristiani, che dovremmo trovare l’unità proprio attorno alla cena, riproduciamo allo stesso modo, con le nostre divisioni, le stesse dinamiche divisorie della comunità di Corinto. Certo, molti sono i passi intrapresi per trovare un’unità, ad esempio con i luterani (e non secondari quelli di cui si legge nella Dichiarazione congiunta firmata a Lund il 31 ottobre 2016). Ma ancora molto c’è da fare.
Infine, una domanda sul perdono dei peccati. Mi chiedo – conclude – se siamo veramente consapevoli che Gesù, versando il suo sangue, ha davvero, con la propria vita, e non solo a parole, detto e dato il perdono di Dio.
Consultare anche: introduzione, prima meditazione, seconda meditazione.
+++ A breve pubblicheremo il contributo video a cura del Centro Televisivo Vaticano +++
A cura della Radio Vaticana