Appena giunto nel capoluogo piemontese, accolto dal sindaco Piero Fassino e dalle altre autorità locali, Papa Francesco ha incontrato il mondo del lavoro. Dopo i saluti di un’operaia, di un agricoltore e di un imprenditore, il Pontefice ha detto con forza: “No” a un’economia dello scarto, no all’idolatria del denaro, alla corruzione, all’iniquità che genera violenza”, si ad un patto sociale e generazionale per un lavoro a misura dell’uomo.
Un discorso in cui Francesco ha messo insieme, rispondendo alle storie di sacrificio e difficoltà raccontate da una donna operaia, da un lavoratore della terra e da un imprenditore, i temi del lavoro, della crisi economica, della famiglia e dell’immigrazione. Passa per il lavoro, afferma il Papa, la via dela ripresa economica, ma soprattutto per l’affermazione del ruolo che la persona deve avere nella società. Ecco le parole del Pontefice.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Saluto tutti voi, lavoratori, imprenditori, Autorità, giovani e famiglie presenti a questo incontro, e vi ringrazio per i vostri interventi, da cui emerge il senso di responsabilità di fronte ai problemi causati dalla crisi economica, e per aver testimoniato che la fede nel Signore e l’unità della famiglia vi sono di grande aiuto e sostegno.
La mia visita a Torino inizia con voi. E anzitutto esprimo la mia vicinanza ai giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione o precarie; ma anche agli imprenditori, agli artigiani e a tutti i lavoratori dei vari settori, soprattutto a quelli che fanno più fatica ad andare avanti.
Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale. Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari. L’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce!
In questa situazione siamo chiamati a ribadire il “no” a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta – a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini (natalità zero!), si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani (più del 40% di giovani disoccupati)! Quello che non produce si esclude a modo di “usa e getta”.
Siamo chiamati a ribadire il “no” all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame.
Siamo chiamati a dire “no” alla corruzione, tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale. Ma non a parole, con i fatti. “No” alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti, e cose del genere.
E solo così, unendo le forze, possiamo dire “no” all’iniquità che genera violenza. Don Bosco ci insegna che il metodo migliore è quello preventivo: anche il conflitto sociale va prevenuto, e questo si fa con la giustizia.
In questa situazione, che non è solo torinese, italiana; è globale e complessa, non si può solo aspettare la “ripresa”. Aspettiamo la ripresa… Il lavoro è fondamentale – lo dichiara fin dall’inizio la Costituzione Italiana – ed è necessario che l’intera società, in tutte le sue componenti, collabori, perché esso ci sia per tutti e sia un lavoro degno dell’uomo e della donna. Questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione, ma piuttosto in funzione del bene comune. E, a proposito delle donne, ne ha parlato lei, i loro diritti vanno tutelati con forza, perché le donne, che pure portano il maggior peso nella cura della casa, dei figli e degli anziani, sono ancora discriminate, anche nel lavoro.
E’ una sfida molto impegnativa, da affrontare con solidarietà e sguardo ampio; e Torino è chiamata a essere ancora una volta protagonista di una nuova stagione di sviluppo economico e sociale, con la sua tradizione manifatturiera e artigianale. Quando pensiamo, nel racconto biblico, che Dio ha fatto l’artigiano proprio… Voi siete chiamati a questo: manifatturiera ed artigianale e nello stesso tempo con la ricerca e l’innovazione.
Per questo bisogna investire con coraggio nella formazione, cercando di invertire la tendenza che ha visto calare negli ultimi tempi il livello medio di istruzione, e molti ragazzi abbandonare la scuola. Lei andava la sera a scuola, per poter andare avanti…
Oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori nel chiedere che possa attuarsi anche un “patto sociale e generazionale”, come ha indicato l’esperienza dell’“Agorà”, che state portando avanti nel territorio della diocesi. Mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del “fare insieme”, è condizione preliminare per superare l’attuale difficile situazione e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio. È giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fiducia tra giovani e adulti. Questo implica anche aprire concrete possibilità di credito per nuove iniziative, attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro, sostenere l’apprendistato e il raccordo tra le imprese, la scuola professionale e l’Università.
Mi è piaciuto tanto che voi tre abbiate parlato della famiglia, dei figli e dei nonni. Non dimenticare questa ricchezza! I figli sono la promessa da portare avanti: questo lavoro che voi avete segnalato, che avete ricevuto dai vostri antenati. E gli anziani sono la ricchezza della memoria. Una crisi non può essere superata, noi non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni. Forza per il futuro, ma memoria del passato, che ci indica dove si deve andare. Non trascurare questo, per favore. I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo.
A Torino e nel suo territorio esistono ancora notevoli potenzialità da investire per la creazione di lavoro: l’assistenza è necessaria, ma non basta: ci vuole promozione, che rigeneri fiducia nel futuro.
Ecco alcune cose principali che volevo dirvi. Aggiungo una parola che non vorrei che fosse retorica, per favore: “coraggio!”. Non significa pazienza, rassegnatevi. No, no, non significa questo. Ma al contrario, significa: osate, siate coraggiosi, andate avanti! Siate creativi! Siate artigiani tutti i giorni, artigiani del futuro! Con la forza di quella speranza che ci dà il Signore e non delude mai. Ma che ha anche bisogno del nostro lavoro. Per questo prego e vi accompagno con tutto il cuore. Il Signore vi benedica tutti e la Madonna vi protegga. Grazie. E, per favore, vi chiedo di pregate per me! Grazie!
IL SALUTO DEI TRE IMPRENDITORI AL PONTEFICE
Saluto di un imprenditore, Filiberto Martinetti
Caro Papa Francesco, mi chiamo Filiberto e sono un piccolo imprenditore tessile, figlio di un muratore e di una tessitrice, ho tre figlie che lavorano con me e che hanno scelto di continuare questa attività, ho anche cinque nipoti che spero decidano di fare altrettanto, almeno qualcuno di loro. Abbiamo 200 persone che lavorano nelle nostre aziende alle quali tutti i giorni va garantito lavoro e stipendio, non è cosa facile, ma finora ci siamo riusciti. All’età di 13 anni ho iniziato a lavorare in una ditta tessile come meccanico, la sera frequentavo la scuola per perito tessile.
Nel 1961 decisi di iniziare un’attività in proprio e con il prezioso aiuto e appoggio di mia moglie Franca, con un telaio di seconda mano sotto una tettoia, è iniziata la mia avventura. Non Le nego che all’epoca si tirava la cinghia nel vero senso della parola, per fortuna nei prati abbondava la cicoria. Questa breve storia che le ho raccontato penso sia comune a molti imprenditori della mia generazione; oggi la situazione è certamente cambiata ma per altri versi è più difficile di allora. Come quasi tutti i miei colleghi imprenditori, stiamo soffrendo di questa crisi che ci accompagna orinai da troppi anni; purtroppo, chi è preposto a legiferare, non sempre coglie quelle che sono le nostre aspettative e non mette in atto i provvedimenti necessari al cambiamento imposto dalla globalizzazione dei mercati e anzi ci costringe a lottare per la sopravvivenza in solitudine. Noi imprenditori italiani, unitamente ai nostri dipendenti, abbiamo dimostrato una capacità di resistenza eccezionale, abbiamo fatto e stiamo tutt’ora facendo sacrifici enormi, ma teniamo duro. Molte sono state le offerte di produrre all’estero, alcune decisamente allettanti, ma francamente non potevo pensare di licenziare coloro che per tanti anni sono stati al mio fianco; di qui la scelta di rimanere in Italia andando certamente contro le logiche della finanza e dell’economia. Negli anni passati ci siamo un po’ dimenticati della manifattura pensando che la finanza ed il lavoro terziario potessero sopperire al valore aggiunto che invece dà il saper produrre. Come giustamente ha detto Lei il lavoro dà dignità all’uomo: bene, io penso che proprio la manifattura ne sia la più alta espressione. Non nascondo che dopo quasi sette anni di crisi qualche momento di sconforto c’è stato, la fede ed una famiglia unita sono state la nostra forza, grazie ad esse la speranza non è mai venuta a mancare. Un po’ di sano ottimismo ci fa sperare che ci sia la volontà da parte di tutti di andare avanti, il lavoro è un dovere ma anche un diritto. Ciò che voglio dire, Santo Padre, è che stiamo guardando al futuro con serenità e ci auguriamo che chi ci governa dimostri la saggezza e la moderazione necessarie per portarci fuori da questo mare agitato. Non vorrei ripetere ciò che ha già sentito milioni di volte, la fortuna che abbiamo nell’avere una guida spirituale come Lei, è certamente un dono che ci ha fatto il buon Dio. Serviva un Francesco e Lui ce l’ha dato. “Che nusniur al cunserva per tanti ani” (Che Nostro Signore La conservi per tanti anni).
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Saluto di un’operaia, Alexandra
Caro Papa Francesco,
mi chiamo Alexandra, sono moglie e mamma. Sento di appartenere a quella generazione di chi si è dovuto rimboccare le maniche in fretta. Finita la scuola sono entrata subito nel mondo del lavoro. Sempre veloce e pronta ho fatto molte esperienze, mercato, ristoranti, donna delle pulizie, barista, imprese di pulizie, babysitter, fabbriche piccole…insomma non ero mai ferma. Erano ancora gli anni in cui il lavoro c’era e non era difficile, avendo buona volontà, sbarcare il lunario. Il mio sogno era un altro, nella mia mente già mi vedevo una donna in carriera che gira il mondo in lungo e in largo. Nel corso degli anni i miei sogni si sono modificati, ma non l’ho mai sentito come una privazione. Le nostre nuove generazioni non hanno questa fortuna, vivono una condizione sociale complicata attendendo che qualcosa accada!
Sono una mamma, felice e soddisfatta, i miei tesori sono Umberto di 12 anni e Michela di 6. Mio marito Franco ed io non potevamo avere regalo più bello di loro. Però le sorprese e gli ostacoli non finiscono mai, e come tante, tantissime, persone come noi, abbiamo subito la crisi sotto diverse forme. Io ho affrontato un lungo periodo di cassa-integrazione, e oggi lavoro in Maserati PCA a Grugliasco. Mio marito, invece, disoccupato ormai da circa 2 anni e mezzo, ha imparato il ruolo del “mammo”. Inutile dire che l’angoscia veniva a dormire con noi e la mattina era la prima ad alzarsi. E’ stato un periodo difficile, per certi versi lo è ancora, ma la fede in Nostro Signore e la speranza non mi hanno mai abbandonata, né mi abbandoneranno mai! Ora che ho ripreso a lavorare, cerco, nel mio piccolo, di collaborare e di essere solidale con i miei colleghi non dimenticando mai, chi, come mio marito, è senza un lavoro, chi è ancora in cassa-integrazione, chi è precario, i giovani senza lavoro che gravano ancora sulle loro famiglie, che magari a loro volta vivono gravi difficoltà economiche. Grazie Padre Santo per aver spesso sottolineato il lavoro della donna, i suoi ritmi, gli orari e il salario, unito al nostro compito di “regista” della nostra famiglia, che, con l’aiuto dei nostri mariti, svolgiamo con dedizione affrontando un giorno alla volta.
Caro Papa Francesco, non vorrei dimenticare il ruolo dei nostri genitori, che con il loro amore ci aiutano nella vita di tutti i giorni cercando di colmare con la loro esperienza le lacune e le mancanze che noi giovani genitori possiamo avere. I nonni sono una fonte inestimabile di amore incondizionato, un esempio sempre presente, il motore e il sostegno per tutti noi.
Oggi Padre Santo siamo felici e onorati di incontrarLa così da vicino! Sono convinta che le Sue parole e la Sua benedizione ci saranno di grande stimolo per credere che Gesù è sempre con noi e in noi e per continuare a dare il massimo nel lavoro e nella famiglia!
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Saluto di un agricoltore, Fabrizio
Caro Papa Francesco,
anzitutto, rendo grazie a Dio per la possibilità che mi concede di essere oggi alla Sua presenza. Nelle vicende liete e tristi della mia esistenza, non avrei mai pensato a questa possibilità, eppure sono qua. Il mio lavoro è fare l’agricoltore, ma a differenza della maggior parte dei miei colleghi non produco cibo, ma mi dedico alla coltivazione della bellezza che il creato ci ha messo a disposizione: sono in fatti un florovivaista. Porto avanti l’attività di famiglia iniziata più di 50 anni fa dal nonno paterno e lo faccio con la mia famiglia d’origine.
Non posso parlare di me senza parlare del mio lavoro: troppe sono le ore e troppe le emotività questa professione genera, a partire dal fatto che tutto quello che laccio non dipende solo dalle capacità o dalla situazione economica, ma anche da quelle forze della natura che tanto sono in grado di dare, quanto di togliere. Ogni perturbazione atmosferica presenta i suoi possibili rischi e ci fa rivolgere il pensiero al buon Dio. La mia azienda è stata più volte colpita da calamità: l’alluvione del 1994 ha però distrutto il lavoro di due generazioni, eppure anche in quell’occasione il Signore ha dato alla mia famiglia la possibilità di sperimentare sia la forza spirituale per non abbattersi, sia il grande conforto della solidarietà concreta e gratuita, offerta da tante persone generose, giunte dalle regioni più lontane. Così l’attività è ripresa, ma una minaccia analoga si è ripresentata 6 anni dopo, per fortuna senza nessun danno. Da quel giorno una piccola statua di Maria Ausiliatrice veglia all’esterno della nostra azienda in segno di gratitudine per la protezione esercitata.
Il nostro settore sta vivendo un momento di grande difficoltà, dovuto alla crisi del mattone, alla scarsità di opere pubbliche e alla diminuita capacità di spesa degli italiani, su questo avverto la condivisione con tutte le aziende del settore primario che soffrono a causa di questo modello di economia. Nei momenti difficili, mi aiuta molto l’unità della famiglia e la fede nel Signore, anche se a dirla tutta non sempre riesco a portare la croce con il sorriso sulle labbra. Caro Papa Francesco,
conoscendo la Sua attenzione per il mondo della natura e per l’ecologia chiedo una preghiera speciale perché né io, né i lavoratori del mio settore, durante la nostra attività non dimentichiamo mai il rapporto d’amore e di dipendenza da Dio e ci sentiamo solo collaboratori nello sbocciare di un nuovo fiore o di fronte ad una nuova varietà di colori, profumi o frutti e non unici protagonisti, ringraziando per la contemplazione che questo lavoro ci offre. Mentre Le assicuro la mia preghiera quotidiana perché Lei possa lavorare con frutto nel campo del Buon Dio, Le chiedo di pregare per me perché possa essere un buon padre di famiglia che sappia conciliare le esigenze del lavoro con quelle dell’educazione dei figli. Sì perché io ho un altro grande motivo per ritenermi fortunato: la presenza nella mia vita di mia moglie e dei miei due bambini. Grazie Padre Santo e ci benedica.
di Massimo Francini e Stefano Santi per Redazione Papaboys
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