Proseguono, nella Casa del Divin Maestro ad Ariccia, gli Esercizi spirituale per il Papa e la Curia Romana in questo tempo di Quaresima. Il padre francescano Giulio Michelini ha tenuto nel pomeriggio la sua quarta meditazione sul tema “La preghiera al Getsemani e l’arresto di Gesù (Matteo 26, 36-46)”.
Nella sua riflessione è partito da un confronto tra la preghiera di Gesù sul monte degli Ulivi e quella sul Tabor, in Galilea. Le due situazioni – ha detto il religioso – hanno delle somiglianze impressionanti: in tutte due la situazione esistenziale di Gesù è provata (nel primo caso, perché Pietro e gli altri non hanno compreso il senso del primo annuncio di Gesù che aveva detto di dover morire a Gerusalemme; nel secondo, perché Gesù ha appena annunciato che qualcuno l’avrebbe consegnato).
In tutti e due i casi – osserva – Gesù chiama a sé i discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, e questi non capiscono appieno quanto sta accadendo a Gesù. Una discriminante però separa le due scene: sul Tabor si ode la voce del Padre che consola il Figlio; al Getsèmani, invece (tranne che per la versione lucana, dove Gesù è rafforzato nella lotta da un angelo), non si ode nessuna voce.
È Gesù, invece – spiega padre Michelini – che si rivolge al Padre, accogliendo che sia fatta la sua santa volontà di bene. Questa volontà originaria non vuole la morte del Figlio, ma la sua salvezza, come ebbe a scrivere Romano Guardini ne Il Signore: «Gesù era venuto per redimere il suo popolo e, in esso, il mondo. Ciò doveva compiersi attraverso la dedizione della fede e dell’amore; ma essa venne meno. Tuttavia, rimase il mandato del Padre, ma esso mutò di forma.
Quanto si concretò in conseguenza del rifiuto, il destino amaro della morte – ha continuato il predicatore – divenne la nuova forma della redenzione – quella che ora per noi è la redenzione in senso puro e semplice». Anche la parabola dei vignaioli omicidi ci presenta un padre che invia il Figlio dicendo «Rispetteranno mio figlio» (Mt 21,37). Ma l’annuncio e la persona di Gesù non vengono accolti, e il Regno passerà dunque in un altro modo, quello che Gesù, al Getsèmani, è chiamato ad accettare: «dipende dalla disponibilità degli uomini in quale forma si possa sviluppare la sua opera. La chiusura del mondo non gli consente di essere il principe della pace, davanti alla cui venuta tutto dovrebbe sbocciare nella pienezza che il vaticinio presagiva. Perciò […] il Messia diviene colui che va alla rovina. Il sacrificio del suo essere diventa il sacrificio della morte» (R. Guardini).
Gesù – rileva padre Michelini – esorta ancora i suoi discepoli – come ha fatto lui nel Getsèmani, mettendo in pratica lo Shemà (cf. D. Fortuna, Il Figlio dell’Ascolto), la preghiera di Israele, ad amare «Dio con tutto il cuore, le forze e fino a dare la vita».
Al termine della riflessione, le consuete domande. Come ci poniamo di fronte all’angoscia del nostro prossimo? Teniamo gli occhi aperti, preghiamo, o ci addormentiamo come i tre discepoli? La volontà di Dio è compresa da noi come un “capriccio”, qualcosa che “si deve fare” perché “Qualcuno ha deciso”, oppure vedo in essa la Santa volontà di bene per tutti? Infine, partendo dal presupposto che questa Sua volontà di salvezza è certo ferma – come diceva Guardini: «il decreto di Dio rimane immutato» – accetto che la forma in cui essa si realizza sia condizionata, perché l’onnipotenza di Dio si arresta davanti alla libertà della sua creatura? E se Dio può cambiare idea, addirittura, stando al libro di Giona, può “pentirsi” (cf. Gn 3,10), proprio come si convertiranno gli abitanti di Ninive, come può la sua Chiesa non cambiare, come possiamo noi stare fissi nelle nostre rigidità?
Consultare anche: introduzione, prima meditazione, seconda meditazione,terza meditazione.
A cura della Radio Vaticana