“Santo Padre – scrive Yoon Sanh-hyo – qui ogni giorno degli ultimi sette anni è stato come una guerra. La prego, aiuti questo anziano uomo a vedere il suo villaggio di nuovo bello e pacifico. Per favore, visiti Gangjeong e stringa le mani di coloro che da tempo aspettano giustizia”. Lucia Kang Yu-jin aggiunge: “Il progetto della base navale ha portato tanta gente in galera e ci ha costretto a pagare delle multe. Io non mi aspetto che con la Sua visita queste ingiustizie spariscano: spero solo che il mondo possa conoscere la battaglia per la pace di Gangjeong”. Su quest’isola, che si trova nella parte sud del Paese, il governo sudcoreano ha intenzione di costruire una base per i marines nazionali e per quelli statunitensi. Il piano venne annunciato una prima volta nel 1993, durante la presidenza di Kim Young-sam. Nel 2007, il governo ha scelto il villaggio Gangjeong come sito per la costruzione. Il capo del villaggio, Yoon Tae-jun, dà il suo assenso il 24 aprile 2007: due giorni dopo, una “votazione generale” a cui partecipano solo 87 abitanti sui 1000 aventi diritto di voto conferma la scelta. Da allora è iniziato un forte braccio di ferro fra la popolazione locale e il governo. Una serie di “messe per la pace”, catene umane, attivisti incatenati e altre proteste popolari hanno cercato di rallentare la costruzione della base, che tuttavia sembra continuare. Due sacerdoti sono stati incarcerati nel 2011 per il loro sostegno alla protesta, e sono stati rilasciati dopo un lungo periodo di detenzione. Un laico, invece, è ancora in carcere ma sarà liberato tra tre settimane. Nel villaggio vivono un sacerdote gesuita e un fratello laico, sempre gesuita, che curano la comunità cattolica.
Come ha ricordato il vescovo Kang “questa deve essere una terra di pace, soprattutto alla luce degli Incidenti del 3 aprile. Portare ancora militari in questo luogo significa cancellare ogni senso alla morte di chi si è sacrificato per la libertà”. Il riferimento del presule è al massacro iniziato a Jeju il 3 aprile 1947: fino al 1954, quando la Corea del Sud era divisa fra la dittatura militare e la presenza statunitense, sull’isola sono morte migliaia di persone che facevano parte di gruppi civili armati contrari al governo sanguinario di Seoul. Grazie anche alla guida della Chiesa, la dittatura venne sconfitta e Jeju divenne un simbolo della resistenza. L’isola, nello stretto di Corea, è retta da un governo provinciale autonomo. È famosa per la natura incontaminata e per gli splendidi paesaggi. I dimostranti si oppongono alla costruzione della base navale anche per salvaguardare la sua ecologia e il turismo. Il governo afferma invece che la nuova base navale, del costo di 970 milioni di dollari Usa, è necessaria per la sicurezza nazionale. Secondo la popolazione, essa è invece un punto avanzato necessario agli Stati Uniti per tenere sotto pressione Cina e Corea del Nord. a cura della Redazione Papaboys *
* La fonte dell’articolo è tratta da: asianews