Nella cerimonia in piazza San Pietro sono stati elevati da beati a santi anche Cristobalito ucciso dal suo papà, con Antonio e Giovanni protomartiri del Messico
i tre adolescenti Cristoforo, Antonio e Giovanni, martiri per la fede cristiana, considerati dagli storici della Chiesa messicana i protomartiri non solo del Messico ma dell’intero Continente Americano; primizie dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo. I missionari Francescani arrivarono in Messico a Tenochtitlàn nel 1524, quindi tre-quattro anni prima della loro morte, dividendosi poi in quattro regioni, Mexico, Texcoco, Huetzingo e Tlaxcala.
In quest’ultima località, che nel 1526 divenne la prima diocesi, si svolse la breve vicenda terrena dei tre ragazzi; le cause dell’avversione ai missionari delle popolazioni indigene, fu che queste erano molto attaccate alle loro tradizioni; nel contempo i missionari basavano l’evangelizzazione sul concetto che la salvezza era un bene assoluto da conseguire, soprattutto eliminando gli idoli pagani. Bisogna dire che al tempo della conquista spagnola nel 1519 con Cortés, esisteva nel Messico la religione azteca, il cui culto si esplicava con un gran numero di crudeli sacrifici umani e la vita religiosa era dominata dalla casta dei sacerdoti idolatri. Questo crudele aspetto della religione pagana, favorì il diffondersi della nuova religione cristiana o per convinzione o per forza perché arrivata con i conquistatori spagnoli; ma i sacerdoti ed i pagani fedelissimi, naturalmente avversavano i missionari.
I Francescani e poi i Domenicani, lavorarono per la promozione degli Indios e per difenderli da questi sanguinari riti, furono drastici nell’evangelizzazione e presero a distruggere templi e idoli; oggi certamente ciò non sarebbe approvato, ma bisogna ragionare con il pensiero ed i fini di allora. Tutto questo portò ad una reazione di buona parte degli Indios, che si sfogò anche sui tre catechisti locali, Cristoforo, Antonio e Giovanni, dei quali naturalmente si sa ben poco della loro vita prima del martirio; essi educati alla scuola francescana di Tlaxcala, furono uccisi in tempi e luoghi diversi dai loro conterranei, perché riprovavano l’idolatria, la poligamia e le orge pagane a cui si abbandonavano. Si danno di seguito alcune notizie conosciute su ognuno di essi.
Il primo di essi fu Cristoforo, chiamato anche col diminutivo ‘Cristobalito’, nacque ad Atlihuetzia (Tlaxcala) tra il 1514 e il 1515 ed era il figlio prediletto ed erede del principale cacicco Acxotecatl; ben presto seguì l’esempio degli altri tre fratelli, che nel 1524 avevano preso a frequentare la scuola aperta dai missionari francescani. Si fece istruire nelle fede cristiana e chiese spontaneamente il Battesimo, ebbe il nome di Cristoforo, i testi non riportano il nome di nascita, certamente lungo e per noi difficile a pronunziare; diventò in breve tempo un apostolo del Vangelo tra i suoi familiari e conoscenti. Anzi si propose di convertire il padre e prese ad esortarlo a cambiare le sue riprovevoli abitudini, soprattutto l’ubriachezza; il padre non gli diede importanza e allora Cristoforo prese a rompere gli idoli presenti in casa; fu ammonito e perdonato dal padre più volte, il quale visto il ripetersi del fatto, prese la decisione di ucciderlo.
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La sua fede pagana era superiore all’affetto di genitore, quindi con un tranello fece tornare a casa i figli dalla scuola francescana, mentre i fratelli entravano in casa, Cristoforo fu afferrato per i capelli dal padre che lo buttò a terra, dandogli calci e bastonandolo fino a rompergli le braccia e le gambe; visto che Cristoforo pur nel dolore continuava a pregare, lo gettò su un rogo acceso. Pochi giorni dopo fu uccisa anche la madre, che aveva invano tentato di difendere il figlio; la descrizione del martirio del giovane Cristoforo, fa venire alla mente i supplizi di tanti giovani, santi martiri al tempo dei primi cristiani nell’impero romano, uccisi proprio dai loro padri, funzionari potenti dell’imperatore. Lo snaturato padre seppellì di nascosto il figlio in una stanza della casa; un testo dice che fu poi condannato a morte per i suoi delitti, probabilmente dagli spagnoli. Il fatto avvenne nel 1527 e Cristoforo aveva 13 anni. Uno dei francescani Andrea da Cordoba, un anno dopo, conosciuto il luogo della sepoltura, lo esumò e fece trasportare il corpo incorrotto del giovane martire nel convento di Tlaxcala. Molto tempo dopo un altro frate, Toribio da Benevento, che compose anche il racconto del martirio, lo seppellì nella chiesa di Santa Maria a Tlaxcala.
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Antonio e Giovanni nacquero tra il 1516 e il 1517 a Tizatlán (Tlaxcala), Antonio era nipote ed erede del cacicco locale, mentre Giovanni di umile condizione, era il suo servitore e ambedue frequentavano la scuola dei Francescani. Nel 1529 i missionari Domenicani decisero di fondare una missione ad Oaxaca, pertanto passando loro per Tlaxcala il domenicano Bernardino Minaya, chiese a fra Martin di Valencia francescano e direttore della scuola, di indicargli alcuni ragazzi che volontariamente potessero accompagnarli come interpreti presso gli Indios. Riuniti i ragazzi della scuola, fra Martin formulò la richiesta del domenicano, avvisando comunque che si trattava di un compito con pericolo di morte; subito si fecero avanti i tredicenni Antonio e Giovanni e un altro nobile ragazzo di nome Diego (che non morì martire).
Il gruppo arrivò a Tepeaca, Puebla e i ragazzi aiutarono i missionari a raccogliere gli idoli, poi solo Antonio e Giovanni si spostarono a Cuauhtinchán, Puebla e continuarono la raccolta; Antonio entrava nella casa e Giovanni restava alla porta; in una di queste azioni gli Indios inferociti e armati di bastoni, si avvicinarono e colpirono Giovanni talmente forte che morì sul colpo. Antonio accorso in suo aiuto si rivolse agli aggressori: “Perché battete il mio compagno che non ha nessuna colpa? Sono io che raccolgo gli idoli, perché sono diabolici e non divini”. Gli indigeni lo percossero con i bastoni finché morì. I corpi di Antonio e Giovanni furono poi gettati in una scarpata vicino a Tecalco; il domenicano padre Bernardino li ricuperò e li trasferì a Tepeaca dove vennero sepolti in una cappella.
Il sangue dei tre ragazzi messicani, fu il primo seme della grandissima fioritura del cattolicesimo nel loro Paese; l’opera dei missionari si allargò ad aprire scuole, stamparono i primi testi catechistici in lingua locale, condivisero la vita e la povertà degli Indios, lavorando per la loro promozione umana e difendendoli dai soprusi degli “encomenderos”. Giovanni Paolo II li ha proclamati beati il 6 maggio 1990 nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico, insieme a Juan Diego, il Messaggero della Madonna di Guadalupe, loro contemporaneo.
Fonte: Il Faro di Roma