Papa Francesco ha incontrato i giovani davanti al Centro Culturale P. Félix Varela dell’Avana, una delle poche realtà ecclesiali a Cuba che forma il laicato secondo gli insegnamenti sociali della Chiesa.
Anche con i giovani il Papa ha messo da parte il discorso preparato e ha parlato a braccio. Rispondendo a un giovane che ha detto di sognare una Cuba migliore ha citato uno scrittore latino-americano che dice: le persone hanno due occhi, uno di carne e uno di vetro. Con l’occhio di carne vediamo quello che guardiamo. Con l’occhio di vetro vediamo ciò che sogniamo.
Un giovane che non è in grado di sognare – ha detto – è chiuso in se stesso. Il Papa ha invitato a sognare grandi cose. Sognate che con voi il mondo può essere diverso. Se voi date il meglio di voi stessi aiutate il mondo a essere diverso. Non dimenticare, sognate.
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Il Papa ha poi parlato della capacità di accogliere e accettare chi la pensa diversamente. In realtà, a volte – ha detto – siamo chiusi. Entriamo nel nostro piccolo mondo e ci chiudiamo nelle conventicole delle ideologie o delle religioni. Quando la religione diventa conventicola, perde la parte migliore, perde la sua realtà di adorare Dio, di credere in Dio. E’ una conventicola di parole, di preghiere, di prescrizioni morali. E quando io ho la mia ideologia, il mio modo di pensare e voi avete la vostra, mi chiudo in questa conventicola dell’ideologia.
Cuori aperti, menti aperte. Se voi pensate in modo diverso da me, perché non parliamo? Perché puntiamo lo sguardo sempre su ciò che ci separa, sulle nostre differenze e non vediamo ciò che abbiamo in comune? Lavorare insieme per il bene comune. Questa si chiama amicizia sociale, cercare il bene comune. L’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia viene distrutta dall’inimicizia. Un paese si distrugge con l’inimicizia. Il mondo si distrugge con l’inimicizia. E la più grande inimicizia è la guerra. E oggi vediamo che il mondo è distrutto dalla guerra. Perché non sono in grado di sedersi e parlare? “Beh, negoziamo. Cosa possiamo fare insieme? In cosa possiamo cedere?”. Quando c’è divisione, c’è la morte. C’è la morte nell’anima, perché stiamo uccidendo la capacità di unire. Stiamo uccidendo l’amicizia sociale. E questo è ciò che vi chiedo oggi: di essere in grado di creare l’amicizia sociale.
Il Papa ha poi risposto al giovane che ha parlato della speranza. I giovani – ha detto – sono la speranza di un popolo. La speranza non è l’ottimismo? L’ottimismo è uno stato d’animo che cambia. La speranza è un’altra cosa. La speranza sa soffrire per realizzare un progetto. Siete voi capaci di sacrificarvi per il futuro o semplicemente volete vivere il presente e quelli che verranno si arrangino? La speranza è feconda. La speranza dà la vita. Siete capaci di dare la vita o sta per essere un ragazzo o una ragazza spiritualmente sterile, incapace di creare la vita per gli altri, senza la possibilità di creare amicizia sociale, in grado di creare una patria, senza capacità di creare grandezza? La speranza è feconda.
Il Papa ha parlato di quanti distruggono la speranza: sono quelli che non si preoccupano che i giovani non hanno lavoro e quindi non hanno futuro e sono scartati. E sappiamo tutti che oggi, in questo impero del dio denaro, vengono scartati i giovani, quanti sono uccisi prima di nascere, gli anziani perché non producono più. E in alcuni paesi è legge l’eutanasia, ma in molti altri c’è una eutanasia nascosta. Questa cultura dello scarto toglie la speranza. Invece la speranza che sa soffrire è feconda.
Il Papa ha invitato i giovani a sperare perché un giovane senza speranza è già andato in pensione per il disfattismo. Il cammino della speranza non è facile – ha detto – e non si può percorrere da solo. C’è un proverbio africano che dice: “Se vuoi andare veloce, vai da solo, ma se vuoi andare lontano, vai insieme. Infine il Papa ha parlato della cultura incontro. Ha invitato i giovani a camminare insieme, uniti, anche se si è diversi.
Di seguito pubblichiamo il discorso del Papa preparato ma non letto:
Provo una grande gioia nel poter stare con voi proprio qui in questo Centro Culturale, così significativo per la storia di Cuba. Rendo grazie a Dio per avermi concesso l’opportunità di avere quest’incontro con tanti giovani che, col proprio lavoro, studio e preparazione, stanno sognando e anche già realizzando il domani di Cuba.
Ringrazio Leonardo per le sue parole di saluto, e specialmente perché, pur potendo parlare di molte altre cose, certamente importanti e concrete, come le difficoltà, le paure, i dubbi – tanto reali e umani -, ci ha parlato di speranza, di quei sogni e aspirazioni che sono fortemente impressi nel cuore dei giovani cubani, al di là delle loro differenze di formazione, di cultura, di fede e di idee. Grazie, Leonardo, perché io stesso, quando guardo voi, la prima cosa che mi viene nella mente e nel cuore è la parola speranza. Non posso concepire un giovane che non si muova, che rimanga bloccato, che non abbia sogni né ideali, che non aspiri a qualcosa di più.
Ma qual è la speranza di un giovane cubano in quest’epoca della storia? Né più né meno che quella di qualsiasi altro giovane di qualsiasi parte del mondo. Perché la speranza ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive. Ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore. Senza dubbio, questo comporta un rischio. Chiede di essere disposti a non lasciarsi sedurre da ciò che è passeggero e caduco, da false promesse di felicità vuota, di piacere immediato ed egoista, di una vita mediocre, centrata su se stessi, e che lascia nel cuore solo tanta tristezza e amarezza. No, la speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa. Io chiederei a ciascuno di voi: Cos’è che muove la tua vita? Cosa c’è nel tuo cuore, in cui abitano le tue aspirazioni? Sei disposto a rischiare sempre per qualcosa di più grande?
Qualcuno di voi potrebbe dirmi: “Sì, Padre, l’attrazione per questi ideali è grande. Sento il loro richiamo, la loro bellezza, lo splendore della loro luce nella mia anima. Ma, nello stesso tempo, la realtà della mia debolezza e delle mie poche forze è molto pesante perché io riesca a decidermi a percorrere il cammino della speranza. La meta è molto alta e le mie forze sono poche. Meglio accontentarsi di poco, di cose forse meno grandi però più realiste, più alla portata delle mie possibilità”. Comprendo questa reazione, è normale sentire il peso di quanto è arduo e difficile, tuttavia, attenti a non cadere nella tentazione della delusione, che paralizza l’intelligenza e la volontà, e a non lasciarci prendere dalla rassegnazione, che è un pessimismo radicale di fronte ad ogni possibilità di raggiungere i nostri sogni. Questi atteggiamenti alla fine sfociano o in una fuga dalla realtà verso paradisi artificiali o in un trincerarsi nell’egoismo personale, in una specie di cinismo, che non vuole ascoltare il grido di giustizia, di verità e di umanità che si leva intorno a noi e dentro di noi.
Ma che fare? Come trovare vie di speranza nella situazione in cui viviamo? Come fare perché questi sogni di pienezza, di vita autentica, di giustizia e verità, siano una realtà nella nostra vita personale, nel nostro paese e nel mondo? Penso che ci sono tre idee che possono essere utili per tenere viva la speranza.
La speranza, un cammino fatto di memoria e discernimento. La speranza è la virtù di colui che è in cammino e si dirige da qualche parte. Non è dunque un semplice camminare per il gusto di camminare, bensì ha un fine, una meta, che è quella che dà senso e illumina la strada. Nello stesso tempo, la speranza si nutre della memoria, comprende con il suo sguardo non solo il futuro ma anche il passato e il presente. Per camminare nella vita, oltre a sapere dove vogliamo andare, è importante sapere anche chi siamo e da dove veniamo. Una persona o un popolo che non ha memoria e cancella il suo passato, corre il rischio di perdere la sua identità e rovinare il suo futuro. È necessaria pertanto la memoria di ciò che siamo, di ciò che costituisce il nostro patrimonio spirituale e morale. Credo che questa sia l’esperienza e l’insegnamento di quel grande cubano che è stato Padre Félix Varela. Ed è necessario anche il discernimento, perché è essenziale aprirsi alla realtà e saperla leggere senza timori e pregiudizi. Non servono le letture parziali o ideologiche, che deformano la realtà affinché entri nei nostri piccoli schemi prestabiliti, provocando sempre delusione e disperazione. Discernimento e memoria, perché il discernimento non è cieco, ma si realizza sulla base di solidi criteri etici, morali, che aiutano a discernere ciò che è buono e giusto.
La speranza, un cammino accompagnato. Dice un proverbio africano: «Se vuoi andare in fretta, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai in compagnia». L’isolamento o la chiusura in sé stessi non generano mai speranza, invece la vicinanza e l’incontro con l’altro sì. Da soli non arriviamo da nessuna parte. E con la esclusione non si costruisce un futuro per nessuno, neanche per sé stessi. Un cammino di speranza esige una cultura dell’incontro, del dialogo, che superi i contrasti e il confronto sterile. Perciò è fondamentale considerare le differenze nel modo di pensare non come un rischio, ma come una ricchezza e un fattore di crescita. Il mondo ha bisogno di questa cultura dell’incontro, ha bisogno di giovani che vogliano conoscersi, che vogliano amarsi, che vogliano camminare uniti e costruire un paese come lo sognava José Martí: «Con tutti e per il bene di tutti».
La speranza, un cammino solidale. La cultura dell’incontro deve condurre naturalmente a una cultura della solidarietà. Apprezzo molto quanto ha detto Leonardo all’inizio quando ha parlato della solidarietà come forza che aiuta a superare ogni ostacolo. Effettivamente, se non c’è solidarietà non c’è futuro per nessun Paese. In cima a qualsiasi altra considerazione o interesse, ci dev’essere la preoccupazione concreta e reale per l’essere umano, che può essere mio amico, mio compagno, o anche qualcuno che la pensa in modo diversa, che ha le sue idee, ma che è un essere umano e un cubano tanto quanto me. Non basta la semplice tolleranza, occorre andare oltre e passare da un atteggiamento diffidente e difensivo a uno di accoglienza, di collaborazione, di servizio concreto e di aiuto effettivo. Non abbiate paura della solidarietà, del servizio, del dare la mano all’altro in modo che nessuno sia lasciato fuori dalla strada.
Questa strada della vita è illuminata da una speranza più alta: quella che ci viene dalla fede in Cristo. Egli si è fatto nostro compagno di viaggio, e non solo ci incoraggia ma ci accompagna, sta al nostro fianco e ci tende la sua mano di amico. Egli, il Figlio di Dio, ha voluto farsi uno come noi, per percorrere anche la nostra strada. La fede nella sua presenza, il suo amore e la sua amicizia, accendono e illuminano tutte le nostre speranze e illusioni. Con Lui, impariamo a discernere la realtà, a vivere l’incontro, a servire gli altri e a camminare nella solidarietà.
Cari giovani cubani, se Dio stesso è entrato nella nostra storia e si è fatto uomo in Gesù, si è caricato sulle spalle la nostra debolezza e il nostro peccato, non abbiate paura della speranza, non abbiate paura del futuro, perché Dio scommette su di voi, crede in voi, spera in voi.
Cari amici, grazie per questo incontro. La speranza in Cristo vostro amico vi guidi sempre nella vostra vita. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Il Signore vi benedica!
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana