Oggi, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha precisato che le dichiarazioni messe in circolo in queste ore, circa un eventuale viaggio papale in Corea del sud, ha un fondamento reale: “è vero che il viaggio è allo studio, c’è un invito e l’occasione sarebbe un grande incontro di giovani previsto in Corea a metà agosto”. È altresì “allo studio”, ma “non per quest’anno”, un viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine. Padre Lombardi è stato meno definitivo a proposito di un viaggio a Sarajevo (“C’è effettivamente un invito ma non c’è alcuna decisione in merito”) e ha escluso categoricamente altre mete ipotizzate come, ad esempio, l’Uganda. Il Papa aveva parlato della Corea nel recente discorso di inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede: “In occasione del 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni”. E sempre in occasione del 50enario delle relazioni diplomatiche, monsignor Pietro Parolin, segretario di Stato, ha celebrato una messa, lo scorso 19 dicembre, al pontificio collegio coreano: “Vogliamo implorare da Dio – ha detto Parolin in quell’occasione – il dono della pace tra le due Coree, il dono di poter un giorno rallegrarci per il pieno rispetto dei diritti umani in ogni parte della penisola. Auspichiamo che si riaprano vie di dialogo, che non ci si stanchi di cercare punti d’incontro e soluzioni sempre possibili, che non cessino gli aiuti umanitari alle popolazioni colpite da forme di carestia e prevalga in tutti la buona volontà di riconoscersi per ciò che si è, vale a dire fratelli di un unico popolo”.
Per quanto riguarda i viaggi apostolici, era stato lo stesso Papa Francesco a illustrare, nel volo di ritorno da Rio de Janeiro dalla Giornata mondiale della Gioventù,, il suo calendario di trasferte fuori dall’Italia: oltre alla Terra Santa, confermata nel frattempo per maggio prossimo. In America Latina “dobbiamo aspettare un po’”, disse Bergoglio, mentre “credo che si possa andare in Asia, ma questo è tutto nell’aria. Ho avuto un invito per andare in Sri Lanka e anche nelle Filippine. Ma in Asia si deve andare. Perché Papa Benedetto non ha avuto tempo di andare in Asia, ed è importante. Lui è andato in Australia e poi in Europa e in America, ma l’Asia…”.
La storia della Chiesa cattolica in Corea è relativamente recente e ha un inizio singolare: alla fine del XVIII secolo, alcuni eruditi entrarono in contatto con i testi biblici in cinese portati nel loro paese da alcuni missionari occidentali ed iniziarono a studiare autonomamente la dottrina cattolica. Nel 1784 uno di loro, Lee Seung Hun, fu inviato a Pechino per essere battezzato dai missionari cattolici; tornato in patria battezzò gli altri membri del suo gruppo, dando vita così alla Chiesa coreana senza alcun apporto esterno. Nell’Ottocento la neonata Chiesa fu colpita dalle persecuzioni. Nel 1866 i cristiani coreani subirono il martirio più doloroso della loro storia: più di diecimila fedeli furono massacrati, la metà di tutti quelli esistenti nel Paese. La libertà di professare il cattolicesimo fu raggiunta nel 1886, a seguito di un trattato tra Corea e Francia. Le persecuzioni però non terminarono: nel maggio del 1901 venne compiuto un altro massacro di 700 cristiani. Nel 1910 l’invasione giapponese portò nuove limitazioni alla professione della fede cristiana. Alla fine della Seconda guerra mondiale il paese fu diviso in due stati dalle due superpotenze. Le entità statali scesero in guerra tra loro.
Al Nord. Alla metà del secolo il 30% degli abitanti della capitale Pyongyang professava la fede cattolica, contro l’1% del resto del Paese. Durante la Guerra di Corea (1950-1953) le truppe comuniste diedero la caccia a missionari, religiosi stranieri e cristiani coreani, inseguendoli persino nel Sud. Lo scopo del regime nordcoreano era distruggere ogni presenza cristiana. Al nord vennero distrutti tutti i monasteri e le chiese; i monaci e i sacerdoti furono arrestati e condannati a morte. All’inizio della guerra fu arrestato anche il primo delegato apostolico in Corea, il vescovo Patrick James Byrne: pur essendo cittadino statunitense, fu condannato a morte, ma la sentenza non venne eseguita. Fu deportato in un campo di concentramento, dove morì qualche mese dopo tra stenti e privazioni. Di cosa successe ai cristiani negli anni seguenti non si hanno più notizie perché il regime coreano è tra i più chiusi verso l’esterno. Ancora non si conosce la sorte dei 166 sacerdoti e religiosi presenti nel Nord alla fine della guerra. Oggi la Chiesa del nord rimane senza clero e senza culto. Secondo i dati ufficiali, i cattolici nordcoreani sono circa 4.000, oltre a circa 12.000 protestanti. I dati però si riferiscono all’Associazione dei cattolici nordcoreani, controllata dal governo. Le chiese autorizzate sono solamente tre in tutto il Paese, concentrate nella capitale Pyongyang: due sono protestanti (le chiese di Bongsu e di Chilgol) e una cattolica (la chiesa di Changchung, per molti una “vetrina” a uso del regime). Ad oggi l’annuario pontificio continua ad indicare come vescovo di Pyongyang, monsignor Francis Hong Yong-ho, che avrebbe ormai superato il secolo di vita, ma del quale non si hanno più notizie. La comunità cristiana è sottoposta ad una dura repressione da parte delle autorità. Un cristiano è doppiamente malvisto: accusato di slealtà verso il regime e sospettato di rapporti con la Cina. Secondo il rapporto 2010 dell’organizzazione non governativa “Porte Aperte” (Open Doors International), almeno ottomila cristiani sono attualmente in catene nei sei campi di lavoro conosciuti. La maggioranza dei fedeli è costretta ad esprimere la propria fede in segreto. Nel Paese comunista, essere “scoperti” mentre si partecipa ad una messa in un luogo non autorizzato può comportare pene detentive e, nei casi peggiori, la tortura e anche la pena capitale. Anche il solo fatto di possedere una Bibbia è considerato un reato che può portare alla pena di morte. Il 16 giugno 2009 una cristiana di 33 anni, Ri Hyon-ok, è stata condannata a morte e giustiziata per aver “messo in circolazione delle Bibbie”.
Al Sud. Nel Sud la Chiesa gode di libertà religiosa ed è governata da vescovi locali. Dal 1962, infatti, i vescovi europei hanno lasciato il posto a vescovi coreani. Attualmente la Corea del Sud è il terzo paese asiatico per numero di cattolici, superato solo da Filippine e Vietnam. La Chiesa cattolica in Corea è divisa in 17 diocesi (suddivise in 3 province ecclesiastiche), un’abbazia territoriale e un’ordinariato militare.
a cura della Redazione Papaboys