Non bisogna avere paura della dialettica, alla fine prevale la comunione: è quanto afferma il cardinale Angelo Scola, commentando i lavori del Sinodo sulla famiglia. L’arcivescovo di Milano ricorda la necessità di tenere uniti in un unico processo questo Sinodo straordinario e il Sinodo ordinario del 2015: in caso contrario si rischia di non cogliere il significato dell’attuale assemblea sinodale. Il porporato ha affermato anche che la vera rivoluzione da fare è quella di trasformare la famiglia da oggetto a soggetto della pastorale. Ma ascoltiamo il cardinale Angelo Scola al microfono di Paolo Ondarza per la Radio Vaticana:
R. – Credo che bisogna evitare il limite, in cui forse taluni media sono caduti, di disinserire questa assemblea dal processo globale, nella quale invece il Santo Padre fin dall’inizio ha voluto collocarla: l’inchiesta con le domande, con il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio; l’Instrumentum Laboris derivato dall’inchiesta; questa prima assemblea straordinaria e dal titolo mirato “Le sfide”, imposte al matrimonio, alla famiglia dalla società contemporanea; il ritorno ora dell’esito di questo lavoro nelle Conferenze episcopali, alla base, affinché il tutto sia valutato nel contesto ampio del Sinodo ordinario, che non a caso ha come titolo “La vocazione e la missione della famiglia nella società contemporanea”, prima che il Santo Padre attraverso l’Esortazione esprima il suo parere. Ecco, tutto questo processo va tenuto insieme. Se si separa il Sinodo straordinario e addirittura non si capisce che l’accentuazione data a certe questioni di emergenza, pur importanti, va collocata in questo contesto globale, si rischia di non coglierne il significato, il valore e neanche le scelte.
D. – I padri hanno guardato la famiglia in una visione di insieme e quelle problematiche che sicuramente più hanno colpito – vedi la Comunione ai divorziati risposati o la questione delle coppie omosessuali – sono state delle problematiche all’interno di questo ampio dibattito…
R. – Direi di sì, già fin d’ora, ma questo sarà ancora più evidente nel Sinodo ordinario. Da un certo punto di vista, è comprensibile che un Sinodo dedicato alle sfide poste alla famiglia dalla cultura contemporanea, si sia molto chinato su queste due problematiche specifiche. Ma già – come io penso si vedrà nella relazione finale se sarà resa pubblica – in questo Sinodo si è lavorato molto per recuperare tutto l’insegnamento di Gesù, della tradizione, del magistero, che ci ha condotto fin qui e soprattutto in un confronto serrato, che cercasse le ragioni della comprensione di questi fenomeni. Ma la cosa sarà ancora più evidente nel Sinodo ordinario che ci aspetta.
D. – E’ stato un Sinodo di carattere pastorale, ma è bene dire il binomio inscindibile – misericordia-dottrina, pastorale-dottrina – ha accompagnato questi lavori e anche la riflessione di chi da fuori ha guardato questo Sinodo. Che cosa si può dire in merito a questo?
R. – Guardi, io ho avuto l’esperienza molto straordinaria, in quanto Patriarca di Venezia, di poter accedere a taluni dei primi appunti con cui Giovanni XXIII ha cominciato a parlare della sua idea di pastorale, che poi tanto peso ha avuto nel Concilio , a partire dalla Gaudet Mater Ecclesia. Soprattutto lavorando sul cap. 10 di Giovanni, il tema del Buon pastore, Roncalli fin da allora sottolineava molto che “pastorale” significa storico salvifico: è presentare Gesù come “via, verità e vita”. Allora, la via che cos’è? E’ un orientamento. In un certo senso si può dire che è anche disciplina. “Disciplina” ha la stessa etimologia della parola “discepolo”. La vita è la concretezza della pastorale e la verità è la verità. Quindi bisogna vivere questi tre aspetti in un’unità estremamente radicale e profonda. Non si può disgiungerli l’uno dall’altro, non si può considerare la pastorale come un’applicazione di una dottrina, affermata in maniera astratta. A sua volta, una dottrina autentica che parte da Gesù, dal Vangelo, dall’esperienza cristiana, è già in se stessa capace di pastorale e quindi gli impegni che ne derivano, per usare la parola “disciplina”, sono a loro volta all’interno di questa grande unità. Io penso che una delle cose più belle del Sinodo, che è il dialogo nei Circoli minori in cui si è costretti a tirar fuori le ragioni, penso che questa unità dei tre elementi – in questi gruppi – sia stata in un certo senso meglio compresa ed affermata e questo ci aiuterà molto a trovare le soluzioni adeguate.
D. – La pluralità delle posizioni emerse, insieme anche a quanto poi è stato interpretato, non crede abbia contribuito a generare, soprattutto in una certa fase di questo Sinodo, un caos interpretativo?
R. – Sì, lei qui dice una cosa da considerare con molta attenzione. Adesso tocca a noi vescovi che abbiamo partecipato al Sinodo, riportare a tutte le Conferenze episcopali, ai religiosi, alle religiose, ai diaconi, ai laici impegnati, tutto questo materiale e tutta questa riflessione attraverso un grande lavoro pedagogico che ha però il suo fulcro in un tema che è stato centrale in questo Sinodo. Il tema è questo: la famiglia deve diventare finalmente soggetto della pastorale e non essere più solo un oggetto della cura pastorale. Questa per me è la vera rivoluzione copernicana entro la quale anche i casi difficili – le famiglie ferite, la situazione degli omosessuali – troveranno nel rispetto dell’insegnamento di Gesù, della Scrittura, della tradizione autenticamente interpretata dal magistero, le giuste risposte. Quindi, adesso lei dice molto bene, una certa confusione – che può essere stata ingenerata da tanti fattori non dovuti a cattive intenzioni – avrà bisogno di un’azione pastorale più decisa da parte di tutte le comunità ecclesiali, parrocchia per parrocchia, aggregazione per aggregazione, nazione per nazione, cultura per cultura. Perché, per esempio, si è dato molto poco peso al problema della poligamia, che ha una grossa incidenza non solo in Africa ma anche in Asia, che presenta casi molto articolati e diversi. Io ho imparato molto in questo proposito. Allora, i padri africani e asiatici hanno un grande lavoro in questo senso. Per loro, infatti, sono meno pesanti certe questioni che per noi europei. Quindi lei ha ragione, la strada è segnata: la famiglia soggetto. E questo aiuterà anche quella semplificazione della vita delle nostre Chiese di cui tanto abbiamo bisogno, soprattutto in Europa.
D. – Un lavoro che avrà anche come sfida quella di riproporre concetti che sono emersi qui al Sinodo come ordine della Creazione: parlare ai giorni nostri di peccato, di cos’è il peccato, di indissolubilità, è una sfida vera e propria…
R. – Su questo ha perfettamente ragione. Devo dire – però non vorrei che fosse una civetteria – che in questo Sinodo si è sentita poco la teologia. Presi dalle urgenze concrete non abbiamo avuto il tempo di andare in profondità su queste categorie che lei ha ripreso, ma più in generale su una teologia della famiglia. Noi sappiamo che la teologia della famiglia è ancora in difficoltà. Si è sviluppata una teologia del matrimonio, in un certo senso, ma manca da una parte una teologia approfondita sugli elementi costitutivi del rapporto uomo-donna: differenza sessuale, amore come dono di sé, procreazione, visti insieme come espressione di un mistero nuziale. E dall’altra parte, manca ancora una teologia della famiglia che sia articolata. Questo pare a me che manchi oggettivamente e in effetti di questa mancanza abbiamo sofferto. Per esempio, ritornare alle espressioni “ordine della Creazione”, “ordine della Redenzione”, in un certo senso è fare un passo indietro rispetto al cristocentrismo elaborato da De Lubac in avanti. Però, questo è un linguaggio che all’interno di un testo come questo si può benissimo accettare e comprendere. Ma, quello che lei dice è molto importante perché apre anche un grande campo di lavoro per teologi, per filosofi, per cultori di scienze umane, come la psicologia, e quindi in questo senso si vede che la Chiesa è viva e mette al lavoro, ci sta mettendo tutti al lavoro. Da questo punto di vista, questo Sinodo è decisamente provvidenziale.
D. – Concludendo, potremmo dire che la famiglia “via della Chiesa” resta una priorità assoluta e particolarmente per quest’anno, in vista del prossimo Sinodo…
R. – Assolutamente. Noi abbiamo finalmente capito quel che il grande Guardini diceva con una espressione dell’epoca: “La Chiesa deve rinascere dalle anime”. Noi possiamo dire che la Chiesa deve rinascere dalla persona. Ma la persona è sempre in relazione e le relazioni originarie costitutive quali sono? Prima di tutte, la famiglia. E Gesù ci ha rivelato in maniera splendida la bellezza del dono totale di sé, unico, fedele, indissolubile, per tutta la vita, che si sperimenta nel matrimonio, nella famiglia. Una delle esperienze più belle che ho – essendo vescovo da 24 anni – è che non c’è volta che io vada in parrocchia che non sia avvicinato, alla fine della Messa o di un incontro, da persone anziane della mia età che con una grande gioia mi dicono: “Eminenza ci benedica, sono 60 anni che siamo sposati…”, e si vede una felicità che io vorrei che fosse capita anche da tanti giovani. Quindi, a mio parere la Provvidenza ha lavorato in profondità durante questo Sinodo. Non bisogna aver paura della dialettica. Il Papa ci ha giustamente invitato a una grande franchezza. C’è stata una dialettica sana ma alla fine, nella Chiesa assistita dallo Spirito, come si potrà vedere, la comunione sempre prevale.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana