Ci avevano preparato al Sinodo, come sempre, con la paura della diversità. Avevano ridotto tutto a due schieramenti: ‘gli aperti’ e ‘i chiusi’. Uno scontro freddo di cose teoriche. Poi è iniziato il Sinodo. E abbiamo visto come è la Chiesa. Sono pastori. Conoscono le pecore. Si vogliono bene. Si dicono in faccia le cose. Sono tutti diversi tra loro, si vede anche da come sono vestiti (quanto è strano il cappello del cardinale libanese).
Vingt-Trois il cardinale di Parigi ha detto che nella Chiesa le differenze vivono nell’unità senza che ci sia bisogno della composizione dei conflitti che è tipica della politica. Ci avevano detto che le cose sono urgenti. La nostra società manca di pazienza e ha paura del tempo. Per questo molti opinionisti si stanno affettando ad anticipare i risultati del sinodo con previsioni più o meno ragionevoli (divorzio, chiesa sinodale, ecc.). Invece il sinodo va con calma, è paziente, investe sul tempo (percorso di due anni). Il cardinale Nichols dice che dobbiamo essere pazienti e lasciare che il processo del Sinodo maturi, lasciare che il quadro generale emerga gradualmente.
Gradualità, ricchezza delle differenze. Sono concetti che terrorizzano chi vuole “Tutto e subito uniformato e compatto”.
Ci si aspetta e si vorrebbe che la chiesa fosse fondamentalmente una agenzia di uniformazione. Ma quella è la lingua unica che l’umanità aveva prima della torre di Babele, non è il capirsi ciascuno nella propria lingua che nasce nella chiesa dopoPentecoste. Chi vuole una chiesa che evita e taglia la presenza di diverse vedute, in realtà vede nella diversità una degenerazione ed è terrorizzato dallo spirito.
La Chiesa fin dal suo esordio è nata e cresciuta nelle differenze: se leggi le lettere apostoliche alle varie comunità te ne accorgi, se leggi gli atti degli apostoli vedi come Paolo e Pietro si son scornati sui circoncisi. Se leggi di quelli che dicevano “Io sono di Apollo e io sono di Paolo” trovi la conferma. E poi le scuole teologiche, gli ordini religiosi, i carismi più disparati. Il punto è che la chiesa funziona perché sa che l’uniformità è contro l’unità. Che l’unica lingua di prima di Babele – la neolingua orwelliana – è l’antitesi della lieta sorpresa nel capire gli altri che parlano ciascuno la propria lingua. Non serve che ci sia uno a fare la sintesi tra gli altri né serve un pensiero o un sistema di pensiero unico. Perché è veramente chiesa non tanto perché pensa o fa qualcosa, è Chiesa se vive uno spirito. Vita e spirito. Una cosa viva che vive. Non puoi imbrigliarla in principi freddi e teorici. Per questo ci sono i pastori e, tutti, sono uniti al Papa. Per non far dimenticare lo spirito mentre la tendenza è quella di perdersi nei dettagli. È una sorpresa: ci sono pastori che parlano di Dio. E loro sanno che nello Spirito è dove si gioca l’unità della Chiesa. Tutti lo sappiamo che è il loro ruolo. Ma è una lieta sorpresa. di Mauro Leonardi (Prete e Scrittore) – Fonte: Huffingtonpost.it