L’amore materno di Maria può, se lo vogliamo, rinnovare profondamente i nostri cuori, così come ha trasformato un luogo di peccato verso la periferia di Roma, sulla Laurentina, in una dimora celeste.
Giovedì 12 aprile 2018, 71° anniversario dell’apparizione alle Tre Fontane. Santo Rosario ore 15:00 e a seguire (alle 16:00) Celebrazione Eucaristica con il Vescovo di zona, Mons. Augusto Lojudice.
«Sono Vergine della Rivelazione». Le apparizioni.
Prima parte
Avevo finito da poco la lettura dell’ultimo libro di Saverio Gaeta «Il veggente. Il segreto delle Tre Fontane» quando mi è stato chiesto di scrivere il presente articolo. Ho accolto prontamente l’invito del mio amico Francesco, non solo per la particolarità dell’argomento ma anche perché, mi sento particolarmente legato a questo luogo e alla spiritualità che esso racchiude e che da esso, interminabile, si promana per il mondo cristiano. Ricordo, infatti, i miei primi anni romani quando sovente mi recavo a pregare dinnanzi alla immagine della Vergine della Rivelazione. A sessantanove anni di distanza dal quel sabato “in albis” 12 aprile 1947, la notizia dell’apparizione nella Grotta delle Tre Fontane, si è diffusa non solamente in tutta Italia, ma è rimbalzata nel mondo intero e la sua eco non sembra accennare a diminuire, o rallentare il suo avanzamento. Agenzie internazionali di informazione, giornali, riviste, radio e televisione, hanno ripetutamente diffuso l’avvenimento del 12 aprile 1947. Sono stati descritti con particolare interesse i «prodigi» che si sono verificati in quel luogo dove la terra divenne veicolo di misericordie e grazie celesti a favore dei sofferenti nell’anima e nel corpo.
Partiamo dal nome: Tre Fontane. Secondo un’antica tradizione che rimanda ai primi secoli del cristianesimo, confermata successivamente da alcuni documenti storici, il martirio dell’apostolo Paolo, avvenuto nel 67 dopo Cristo per ordine dell’imperatore Nerone, sarebbe stato consumato nel luogo allora denominato Aquae Salviae, precisamente dove oggi sorge l’abbazia delle Tre Fontane custodita da una piccola comunità di monaci Cistercensi della Stretta Osservanza (Trappisti). La decapitazione dell’Apostolo, sempre secondo la tradizione, avvenne sotto un pino, presso un cippo marmoreo, che ora si può vedere in un angolo della chiesa stessa. Si racconta che la testa dell’Apostolo, una volta recisa dal boia con la spada, sia rimbalzata tre volte sul terreno, facendo scaturire ad ogni balzo una sorgente d’acqua, una calda, una tiepida ed una fredda; da qui il nome del toponimo delle Tre Fontane. Tutto ciò fa supporre che la Vergine Santa scelto quel luogo proprio in riferimento all’Apostolo Paolo, che la tradizione comune addita quale apostolus et doctor gentium. Quanto che accadde all’Apostolo sulla via di Damasco ha parecchi punti in comune con ciò che si verificò nella vita Bruno Cornacchiola, il veggente. Come Gesù disse a Saulo: «Io sono colui che tu perseguiti!», così alle Tre Fontane la Vergine Santa dirà a Bruno: «Tu mi perseguiti, ora basta!». E lo invitò a entrare nella vera Chiesa che Ella non tardò a definire «ovile santo, corte celeste in terra».
Chi era Bruno Cornacchiola?
Nacque a Roma il 9 maggio 1913 da poveri genitori. Trascorse, con gli altri due fratelli e le due sorelle, una giovinezza assai infelice segnata da una miseria morale e spirituale. Il padre, spesso ubriaco, poco si interessava ai figli e sperperava il denaro in osteria; la madre, da parte sua, dovendo pensare a sostenere la famiglia, era soffocata dal molto lavoro e, per questo, si curava poco dei suoi bambini. Crebbero lasciati, come altri ragazzi del tempo, completamente in balia di se stessi. La sua casa era il marciapiede e gli angoli più malfamati della capitale. Entrambi crebbero nella più spaventosa ignoranza. Bruno, poi, divenne ben presto dedito alla delinquenza e della bestemmia. A quattordici anni scappò di casa e visse da vagabondo, abbandonato a se stesso. Nel 1936, dopo il servizio militare, il Cornacchiola sposò Iolanda Lo Gatto. Da questa unione vennero al mondo quattro figli: Isola, Carlo, Gianfranco e Luigi Maria. Dopo pochi mesi di matrimonio, nel 1936, partì per la guerra di Spagna come volontario, militando dalla parte dei marxisti. Lì conobbe un protestante tedesco che gli aveva inculcato un odio feroce per il Papa e il cattolicesimo. Così, nel 1938, mentre si trovava a Toledo, comprò un pugnale e sulla lama incise: «A morte il Papa!». Nel 1939, con la conclusione della guerra, Bruno ritornò a Roma e ottenne un lavoro come tranviere dell’Atac. Qui aderì al partito d’azione e alla chiesa battista, e più tardi entrò a far parte degli “avventisti del settimo giorno“. Qui, Bruno, si distinse per il suo impegno e per il suo fervore contro la Chiesa, la Vergine, il Papa e per questo fu fatto direttore della gioventù missionaria avventista di Roma e del Lazio. Per molti anni fece di tutto per convincere e allontanare la moglie Iolanda dal cattolicesimo, arrivando al punto di incendiare tutte le immagini sacre e perfino a frantumare, in uno scatto d’ira, un crocifisso. Infine Iolanda, per amore del marito, fu costretta a lasciare la Chiesa.
12 aprile 1947, ore 14.00 circa. Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro, verso periferia di Roma, sulla Laurentina. Doveva tenere, infatti, una conferenza ad una associazione giovanile. Mentre i tre bambini giocano, Bruno prepara un testo col quale intende dimostrare che Maria SS.ma non è Vergine, che il dogma dell’Immacolata Concezione è una fantasia dei preti al pari di quello dell’Assunzione in Cielo. Mentre è intento a consultare la Bibbia per trovare i passi adatti a sostenere le sue tesi, i bambini che giocavano lo interrompono dicendogli di aver perso la palla. E qui, preferisco sia lo stesso Cornacchiola a raccontarci il prosieguo, in questa descrizione particolareggiata che ci ha lasciato: “Raccomando a Gianfranco, il più piccolo, di non muoversi e gli do per passatempo un giornaletto. Poi con gli altri mi metto a frugare ogni cespuglio. Per assicurarmi che il più piccino non si allontani rischiando di cadere in qualche buca, lo chiamo di quando in quando. Ma, a un certo punto, non mi risponde più. Allora mi precipito a vedere. E scopro il bambino a sinistra dell’ingresso di una grotta, in ginocchio e con le mani giunte. Parlava con qualcuno che non vedevo, ma che pareva stare davanti a lui: «Bella signora, bella signora!». Chiamo mia figlia Isola, che aveva un mazzetto di fiori in mano, e Carlo. Ci avviciniamo tutti e tre a Gianfranco. «Vedete qualcosa?», faccio io. «Niente», rispondono i ragazzi. Ma ecco che Isola piega le ginocchia, congiunge le mani ed esclama, rivolta verso un punto della grotta: «Bella signora!». Penso a uno scherzo dei ragazzi, penso anche che la grotta sia stregata. Dico allora a Carlo che mi sta vicino: «E tu non ti inginocchi?». «Ma va’!», mi fa lui. Però non finisce la frase e cade a terra in ginocchio con le mani in preghiera, guarda là dove sono rivolti gli sguardi dei fratelli. Mi impaurisco, cerco di scuotere gli inginocchiati, ma sembrano di pietra.
Li guardo meglio: sono diventati bianchissimi, quasi trasparenti. Le loro pupille sono dilatate. «Signore, salvaci tu!», mi viene spontaneo di mormorare. Ho appena finito l’invocazione che mi sembra di sentire due mani che da dietro mi spingono e quindi mi tolgono un velario dagli occhi. In quell’istante la grotta scompare dinanzi a me, mi sento leggero leggero, quasi sciolto dalla carne e avvolto da una luce eterna, in mezzo alla quale vedo la figura di una donna paradisiaca, che descrivere non mi è possibile. Posso dire solo che il viso, di tipo orientale e di colorito olivastro, era bello, di una bellezza dignitosa. La donna aveva i capelli neri riuniti sul capo, visibili quanto poteva permetterlo il manto che dalla testa le scendeva fino ai piedi. Il manto era del colore dell’erba dei prati a primavera. La veste invece era candida, stretta in vita da una fascia rosea le cui bande giungevano fino alle ginocchia. I piedi nudi poggiavano sopra un blocco di tufo. Sarà stata alta circa un metro e 65 centimetri. La «bella signora» aveva un libricino grigio nella mano destra […]. Poi la «bella signora» parlò con voce dolcissima e disse: «Sono colei che sono nella Trinità divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ora basta! Rientra nell’Ovile Santo, Corte Celeste in terra. Il giuramento di Dio è e rimane immutabile: i nove venerdì del Sacro Cuore che tu facesti, amorevolmente spinto dalla tua fedele sposa, prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato!»”. La grotta, impregnata d’un odore sgradevole, si riempie improvvisamente di un dolcissimo profumo che sembra coprire la sporcizia del suolo, triste strascico di squallide visite.
Bruno è rapito dalla visione di questa giovane figura di donna, avvolta nello splendore di una luce d’oro, ferma e dolcemente statica. Bruno la fissa con trasporto, vinto dal fascino di così tanta bellezza, attratto da quella luce che, pur intensissima, non offende la vista ma lo inonda di soavità e pace – come più volte dichiarerà. La bella Signora veste una tunica bianca e luminosa, stretta ai fianchi da una fascia rosa. Ha i capelli neri, un tantino sporgenti dal velo verde-prato; dalla veste escono i piedi nudi e candidi, fermi sopra un masso di tufo anch’esso circondato di luce. Nella mano destra regge, appoggiandolo al petto, un libro di colore grigio, su cui tiene pure l’altra mano. Bruno è affascinato dal volto di quella donna!
La Vergine indica verso il basso: Bruno segue con l’occhio la mano della bella Signora e vede per terra un drappo nero, una veste talare; su quell’abito sacerdotale una croce spezzata. Bruno riconosce in quella croce quella che frantumò, tempo prima, ai piedi della moglie. «Questo è il segno – prosegue la Vergine – che la Chiesa soffrirà, sarà perseguitata, spezzata; questo è il segno che i miei figli si spoglieranno. Tu, sii forte nella fede!». Ed inoltre, ma sempre con tono amorevole, la Vergine santa lo prepara ai tanti giorni di persecuzione e di prove dolorose che lo avrebbero di lì atteso; esortando, poi, Bruno a pregare molto e a far pregare: «Si preghi assai e si reciti il Rosario quotidiano per la conversione dei peccatori, degli increduli e per l’unità dei cristiani…».
di Andrea Maniglia