“Sì”
“E a che ti serve possedere le stelle?”
“Mi serve ad essere ricco”.
“Come si può possedere le stelle?”
“Quando trovi un diamante che non è di nessuno, è tuo. Quando trovi un’isola che non è di nessuno, è tua. Quando tu hai un’idea per primo, la fai brevettare, ed è tua. E io possiedo le stelle, perchè mai nessuno prima di me si è sognato di possederle”.
“Questo è vero”, disse il piccolo principe. “Che te ne fai?”
“Le amministro. Le conto e le riconto”, disse l’uomo d’affari.
Il piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei grandi.
“Io”, disse il piccolo principe, “possiedo un fiore che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Perchè spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai.
È utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle…”
L’uomo d’affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il piccolo principe se ne andò .
Forse non è il capitolo più famoso del celebre racconto di Saint Exupéry, ma questo breve scambio di battute ci permette comunque di fare una riflessione su una dimensione fondamentale per la nostra felicità, che è la dimensione del desiderio. E con essa, metaforicamente, sul nostro rapporto con le stelle, che del desiderio costituiscono l’origine etimologica.
“Come è possibile possedere le stelle?”, ci chiediamo assieme al piccolo principe. Sono troppo lontane, sfiorano quasi l’infinito. Sono troppo belle per essere possedute, hanno uno splendore che sfugge alla nostra vista limitata.
Eppure sono in tanti, oggi, che si illudono di diventarne proprietari, quando cercano la felicità solo nel denaro, nel successo, nell’apparenza, nelle cose. Un’illusione che dà accesso ad una felicità – sempre che possiamo chiamarla così – di basso profilo. Una felicità alla quale di autentico, forse, rimangono soltanto le emozioni, ricercate costantemente per riempire il vuoto del cuore.
C’è una strada alternativa all’illusione di possedere le stelle, ed è quella di rinunciare del tutto a possederle. È una strada alla quale molti giungono dopo, rispetto alla prima strada: quando arriva un momento della loro vita in cui si rendono conto di aver vissuto come il vaso bucato di cui parla Socrate nel Gorgia di Platone. È il momento in cui spesso subentra lo sconforto, la resa, la disperazione, la depressione.
Possedere le stelle, oppure rinunciare del tutto ad esse: nessuna di queste due strade ci convince. Eppure non vogliamo rassegnarci a rimanerne lontani, perché intuiamo come esse abbiano un profondo legame con il nostro desiderio di felicità. Che fare dunque? Forse la risposta siamo in grado di trovarla in una terza possibilità: non possiamo possedere le stelle ma possiamo attraversarle per andare oltre, perché è in questo oltre
che diventiamo capaci di trovare il senso della nostra vita, quella pienezza di senso che può illuminarla.Per comprendere meglio questa terza via, iniziamo con l’interrogarci sul significato della parola desiderio. Essa deriva dall’unione della particella privativa “de” con il termine latino sidus, sideris (che al plurale diventa sidera), che significa stella. Pertanto, il significato letterale di desiderio sarebbe, “mancanza delle stelle”. Probabilmente l’origine del termine è da attribuire alla condizione in cui si trovavano gli antichi sacerdoti che erano dediti all’arte divinatoria, che quando il cielo era coperto dalle nuvole non potevano profetizzare.
L’etimologia del desiderio, quindi, ci rimanda alla mancanza di qualcosa di grande, misterioso, lontano, superiore, come sono appunto le stelle; il desiderio ci mette in contatto con quello che ci supera, con l’infinito, di cui avvertiamo la mancanza. Quando noi sentiamo l’assenza di qualcosa che ha a che fare con la nostra dimensione fisiologica (e quindi per esempio abbiamo caldo, freddo, fame, sete) facciamo di tutto per soddisfare questo bisogno e le “cose” (un po’ di fresco, una felpa, un pezzo di pane, un bicchiere d’acqua) spesso ci bastano per rispondere a questo tipo di mancanza. Ma quando proviamo un desiderio, accade che sperimentiamo un vuoto più grande dell’oggetto che cerchiamo, tant’è che esso non riesce a spegnere del tutto il desiderio. E quanto più elevato è un desiderio, tanto più profondo e ampio è lo spazio da riempire, e tanto più difficile diventa colmare questo spazio.
Se, ad esempio, oltre a volere una felpa per farci passare il freddo, vogliamo “quella” felpa, di quel modello, di quel colore, di quella marca, perché essa ci ricorda una persona cara, allora cambia tutto. La felpa non serve più soltanto a soddisfare un bisogno, ma ci permette di andare oltre e arrivare a una determinata persona, che è il vero oggetto del desiderio. Quella felpa, quindi, non potrà mai da sola riempire lo spazio del desiderio perché essa, che per noi ha un valore simbolico, ci richiama alla mente realtà come la bellezza, l’amore, l’amicizia, concetti nei confronti dei quali non possiamo e non vogliamo mettere limiti.
Ma se invece della felpa, i nostri desideri si concentrano direttamente sulla persona che amiamo, allora questo spazio da riempire diventa infinitamente più grande, e altrettanto più grande sarà la difficoltà a trovare una persona che sia capace di rispondere totalmente al nostro desiderio di amore. Torneremo più avanti su questo punto.
“Noi siamo infinito”, come ci ricorda il titolo di un film di qualche anno fa, ma soprattutto l’enorme mole di testimonianze di un’umanità che da oltre 2500 anni si interroga sul senso della vita e del mondo. Mirabili sono le parole di Giacomo Leopardi in una delle sue poesie più belle: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? […] E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito Seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Quante volte abbiamo ripetuto dentro di noi questi versi? E non solo quando li abbiamo dovuti studiare, ma tutte le volte che la vita ci ha messi davanti a una strada in salita, e a volte davanti a un muro, nascondendoci il senso degli avvenimenti e persino della vita stessa: la sofferenza, la morte, l’amore, il bene, il male, la libertà. Perché esistono queste realtà? Che senso hanno? Che senso ha l’esistenza? Non è strano che il poeta di Recanati interroghi la luna e le stelle, per avere risposta alle sue domande di senso. Non sappiamo se a Leopardi la risposta sia mai arrivata, ma quello che noi possiamo fare è provare a imboccare una strada che dia un riscontro alle nostre domande. Una via che, se non può essere quella di impadronirci delle stelle o, al contrario, di rinunciarci del tutto, forse potrebbe essere quella di abbracciarle senza però avere la pretesa di possederle, di assorbirle, di impossessarcene. Solo così potremo oltrepassarle e andare al di là delle stelle stesse, verso questo infinito che ci chiama costantemente. È una strada che forse ci risulterà più facile da comprendere se pensiamo all’amore. Amare ci mette direttamente a contatto con ciò che è sacro, superiore, assoluto, eterno. Quando amiamo una persona, noi desideriamo che essa rimanga per sempre. Amare significa dire all’altro “tu non morirai”
di Saverio Sgroi per LaSfidaeducativa
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