Finis Mundi

1.500.000 di fedeli salutano Francesco. E Lui: ‘Come accenderemo la speranza se mancano profeti?’

Come ultimo atto della presenza in Perù, nel pomeriggio – sera per l’orario italiano – lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Base Aerea Las Palmas di Lima. Al Suo arrivo, dopo il saluto dell’Ordinario Militare e del Comandante della Base, il Papa ha fatto un giro in papamobile tra i fedeli e i pellegrini.

Dio non si stanca e non si stancherà di camminare per raggiungere i suoi figli – ha esortato Francesco davanti ad 1.500.000 di fedeli che sono giunti per salutarlo, prima del suo rientro in Italia. Come accenderemo la speranza se mancano profeti? Come affronteremo il futuro se ci manca l’unità? Come arriverà Gesù in tanti posti, se mancano audaci e validi testimoni?


Omelia del Santo Padre
«Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico» (Gn 3,2). Con queste parole il Signore si rivolgeva a Giona mettendolo in movimento verso quella grande città che era sul punto di essere distrutta a causa dei suoi molti mali. Vediamo anche Gesù, nel Vangelo, in cammino verso la Galilea per predicare la sua buona notizia (cfr Mc 1,14). Entrambe le letture ci rivelano Dio in movimento davanti alle città di ieri e di oggi. Il Signore si mette in cammino: va a Ninive, in Galilea,… a Lima, a Trujillo, a Puerto Maldonado… il Signore viene qui. Si mette in movimento per entrare nella nostra storia personale, concreta.  Lo abbiamo celebrato da poco: è l’Emmanuele, il Dio che vuole stare sempre con noi. Sì, qui a Lima, o dovunque stai vivendo, nella vita quotidiana del lavoro sempre uguale, nell’educazione dei figli, piena di speranza, tra le tue aspirazioni e i tuoi impegni; nell’intimità della casa e nel rumore assordante delle nostre strade. E’ lì, in mezzo alle strade polverose della storia, dove il Signore ti viene incontro.
Certe volte può succederci lo stesso che a Giona. Le nostre città, con le situazioni di dolore e di ingiustizia che ogni giorno si ripetono, possono suscitare in noi la tentazione di fuggire, di nasconderci, di defilarci. E i motivi, a Giona e ai noi, non mancano. Guardando la città potremmo cominciare a constatare che ci sono «vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”»[1] che stanno ai bordi delle nostre strade, che vanno a vivere ai margini delle nostre città senza condizioni necessarie per condurre una vita dignitosa, e fa male constatare che molte volte tra questi “avanzi umani” si trovano volti di tanti bambini e adolescenti. Si trova il volto del futuro.
E vedendo queste cose nelle nostre città, nei nostri quartieri – che potrebbero essere luoghi di incontro e di solidarietà, di gioia –finisce per provocare quella che potremmo chiamare la sindrome di Giona: uno spazio di fuga e di sfiducia (cfr Gn1,3). Uno spazio per l’indifferenza, che ci trasforma in anonimi e sordi davanti agli altri, ci fa diventare esseri impersonali dal cuore asettico, e con questo atteggiamento facciamo male all’anima del popolo. Come ci faceva notare Benedetto XVI, «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana».


Quando arrestarono Giovanni [il Battista], Gesù si recò in Galilea a predicare il Vangelo di Dio. A differenza di Giona, Gesù, di fronte a un avvenimento doloroso e ingiusto come fu l’arresto di Giovanni, entra nella città, entra in Galilea e comincia da quella piccola popolazione a seminare quello che sarebbe stato l’inizio della più grande speranza: il Regno di Dio è vicino, Dio è in mezzo a noi. E il Vangelo stesso ci mostra la gioia e l’effetto a catena che questo produce: cominciò con Simone e Andrea, poi Giacomo e Giovanni (cfr Mc 1,14-20) e, a partire da allora, passando per Santa Rosa da Lima, San Toribio, San Martino de Porres, San Giovanni Macías, San Francesco Solano, è giunto fino a noi annunciato dalla nube di testimoni che hanno creduto in Lui. E’ arrivato fino a noi per impegnarsi nuovamente come un rinnovato antidoto contro la globalizzazione dell’indifferenza. Perché davanti a questo Amore non si può rimanere indifferenti.
Gesù ha chiamato i suoi discepoli a vivere nell’oggi ciò che ha sapore di eternità: l’amore per Dio e per il prossimo; e lo fa nell’unica maniera in cui può farlo, alla maniera divina: suscitando la tenerezza e l’amore misericordioso, suscitando la compassione e aprendo i loro occhi perché imparino a guardare la realtà in maniera divina. Li invita a creare nuovi legami, nuove alleanze portatrici di eternità.
Gesù percorre la città con i suoi discepoli e comincia a vedere, ad ascoltare, a fare attenzione a coloro che avevano ceduto sotto il manto dell’indifferenza, lapidati dal grave peccato della corruzione. Comincia a svelare tante situazioni che soffocavano la speranza del suo popolo suscitando una nuova speranza. Chiama i suoi discepoli e li invita ad andare con Lui, li invita a percorrere la città, ma cambia loro il ritmo, insegna a guardare ciò a cui fino ad ora passavano sopra, indica nuove urgenze. Convertitevi, dice loro, il Regno dei Cieli è incontrare in Gesù Dio che mescola la sua vita con la vita del suo popolo, si coinvolge e coinvolge altri perché non abbiano paura di fare di questa storia una storia di salvezza (cfr Mc 1,15.21ss.).
Gesù continua a camminare per le nostre strade, come ieri continua a bussare alle porte, a bussare ai cuori per riaccendere la speranza e gli aneliti: che il degrado sia superato dalla fraternità, l’ingiustizia vinta dalla solidarietà e la violenza spenta con le armi della pace. Gesù continua a chiamare e vuole ungerci col suo Spirito perché anche noi andiamo a ungere con quella unzione capace di guarire la speranza ferita e rinnovare il nostro sguardo. Gesù continua a camminare e risveglia la speranza che ci libera da rapporti vuoti e da analisi impersonali e chiama coinvolgerci come fermenti lì dove siamo, dove ci è dato di vivere, in quell’angolino di tutti i giorni. Il Regno dei Cieli è in mezzo a voi – ci dice –, è lì dove sappiamo usare un po’ di tenerezza e di compassione, dove non abbiamo paura di creare spazi perché i ciechi vedano, i paralitici camminino, i lebbrosi siano purificati e i sordi odano (cfr Lc 7,22), e così tutti quelli che davamo per perduti godano della Risurrezione. Dio non si stanca e non si stancherà di camminare per raggiungere i suoi figli. Come accenderemo la speranza se mancano profeti? Come affronteremo il futuro se ci manca l’unità? Come arriverà Gesù in tanti posti, se mancano audaci e validi testimoni?
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Oggi il Signore ti chiama a percorrere con Lui la città, la tua città. Ti chiama ad essere suo discepolo missionario, e così a diventare partecipe di quel grande sussurro che vuole continuare a risuonare in ogni angolo della nostra vita: Rallegrati, il Signore è con te!
Al termine della Celebrazione Eucaristica, dopo l’indirizzo di saluto dell’Arcivescovo di Lima, Card. Juan Luis Cipriani Thorne, il Santo Padre Francesco rivolge ai fedeli e ai pellegrini presenti alcune parole di saluto. Dopo benedizione finale, Papa Francesco saluta il Presidente della Repubblica del Perú, Pedro Pablo Kuczynski, e 7 rappresentanti di confessioni cristiane non cattoliche. Quindi si trasferisce in auto all’Aeroporto Internazionale di Lima per la cerimonia di congedo dal Perú.
Saluto del Santo Padre
Ringrazio il Cardinale Juan Luis Cipriani, Arcivescovo di Lima, per le sue parole, e i fratelli Vescovi per la loro presenza e tutti voi che avete fatto sì che questa visita lasci un’impronta indelebile nel mio cuore.
Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo viaggio. In primo luogo il Signor Presidente Pedro Pablo Kuszynski, le autorità civili, le migliaia di volontari che col loro lavoro silenzioso e sacrificato come “formichine” hanno contribuito perché tutto potesse realizzarsi. La commissione organizzatrice e tutti coloro che con dedizione e impegno hanno reso possibile questo incontro. Mi ha fatto bene incontrarmi con voi. Grazie!
Ho iniziato il mio pellegrinaggio tra voi dicendo che il Perù è una terra di speranza. Terra di speranza per la biodiversità che vi si trova insieme con la bellezza di luoghi capaci di aiutarci a scoprire la presenza di Dio. Terra di speranza per la ricchezza delle sue tradizioni e dei suoi costumi che hanno segnato l’anima di questo popolo. Terra di speranza per i giovani, che non sono il futuro ma il presente del Perù. A loro chiedo di scoprire nella sapienza dei loro nonni, degli anziani, il DNA che ha guidato i vostri grandi santi. Non sradicatevi. Nonni e anziani, non smettete di trasmettere alle giovani generazioni le radici del vostro popolo e la sapienza della via per arrivare al cielo. Tutti vi invito a non aver paura di essere i santi del XXI secolo.
Fratelli peruviani, avete tanti motivi per sperare, l’ho visto, l’ho toccato con mano in questi giorni. Custodite la speranza. E non c’è miglior modo di custodire la speranza che rimanere uniti, perché tutti questi motivi che la sostengono crescano ogni giorno di più.
La speranza in Dio non delude (cfr Rm 5,5).
Vi porto nel cuore.
Dio vi benedica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me.

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