La vocazione alla castità nella realtà della vita terrena
- Continuiamo la riflessione sulla verginità o celibato per il Regno dei cieli: tema importante anche per una completa teologia del corpo.
Nell’immediato contesto delle parole sulla continenza per il Regno dei cieli, Cristo fa un confronto molto significativo; e questo ci conferma ancor meglio nella convinzione che egli voglia radicare profondamente la vocazione a tale continenza nella realtà della vita terrena, facendosi così strada nella mentalità dei suoi ascoltatori. Elenca, infatti, tre categorie di eunuchi.
Questo termine riguarda i difetti fisici che rendono impossibile la procreatività del matrimonio. Appunto tali difetti spiegano le due prime categorie, quando Gesù parla sia dei difetti congeniti: «Eunuchi che sono nati così dal ventre della madre» (Mt 19,11), sia dei difetti acquisiti, causati da intervento umano: «Ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini» (Mt 19,12). In entrambi i casi si tratta dunque di uno stato di coazione, perciò non volontario. Se Cristo, nel suo confronto, parla poi di coloro «che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli» (Mt 19,12), come di una terza categoria, certamente fa questa distinzione per rilevare ancor più il suo carattere volontario e soprannaturale. Volontario perché gli appartenenti a questa categoria «si sono fatti eunuchi»; soprannaturale, invece, perché l’hanno fatto «per il Regno dei cieli». 2. La distinzione è molto chiara e molto forte. Nondimeno, forte ed eloquente è anche il confronto. Cristo parla a uomini, ai quali la tradizione dell’antica alleanza non aveva tramandato l’ideale del celibato o della verginità. Il matrimonio era così comune che soltanto un’impotenza fisica poteva costituirne una eccezione. La risposta data a discepoli in Matteo (19,10-12) è ad un tempo rivolta, in un certo senso, a tutta la tradizione dell’Antico Testamento. Lo confermi un solo esempio, tratto dal Libro dei Giudici, al quale ci riferiamo qui non tanto a motivo dello svolgimento del fatto, quanto a motivo delle parole significative, che lo accompagnano. «Mi sia concesso… piangere la mia verginità» (11,37), dice la figlia di Iefte a suo padre, dopo aver appreso da lui di essere stata destinata all’immolazione per un voto fatto al Signore (nel testo biblico troviamo la spiegazione di come si giunse a tanto). «Va’; – leggiamo in seguito – e la lasciò andare… Ella se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto.
4. Le parole di Cristo determinano in tale ambito una svolta decisiva. Quando egli parla ai suoi discepoli, per la prima volta, sulla continenza per il Regno dei cieli, si rende chiaramente conto che essi, come figli della tradizione dell’Antica Legge, debbono associare il celibato e la verginità alla situazione degli individui, specie di sesso maschile, che a causa dei difetti di natura fisica non possono sposarsi («gli eunuchi»), e perciò si riferisce direttamente a loro. Questo riferimento ha uno sfondo molteplice: sia storico che psicologico, sia etico che religioso. Con tale riferimento Gesù tocca – in certo senso – tutti questi sfondi, come se volesse dire: So che quanto ora vi dirò dovrà suscitare grande difficoltà nella vostra coscienza, nel vostro modo di intendere il significato del corpo; vi parlerò, difatti, della continenza, e ciò si associerà indubbiamente in voi allo stato di deficienza fisica, sia innata sia acquisita per causa umana. Io invece voglio dirvi che la continenza può anche essere volontaria e scelta dall’uomo «per il Regno dei cieli». 5. Matteo, al cap. 19, non annota alcuna immediata reazione dei discepoli a queste parole. La troviamo più tardi solamente negli scritti degli Apostoli, soprattutto in Paolo (cfr.1Cor 7,25-40; vedi anche Ap 14,4). Ciò conferma che tali parole si erano impresse nella coscienza della prima generazione dei discepoli di Cristo, e poi fruttificarono ripetutamente e in modo molteplice nelle generazioni dei suoi confessori nella Chiesa (e forse anche fuori di essa). Dunque, dal punto di vista della teologia – cioè della rivelazione del significato del corpo, del tutto nuovo rispetto alla tradizione dell’Antico Testamento -, queste sono parole di svolta. La loro analisi dimostra quanto siano precise e sostanziali, nonostante la loro concisione (lo costateremo ancor meglio, quando faremo l’analisi del testo paolino della prima lettera ai Corinzi, capitolo 7). Cristo parla della continenza «per» il Regno dei cieli. In tal modo egli vuole sottolineare che questo stato, scelto coscientemente dall’uomo nella vita temporale, in cui di solito gli uomini «prendono moglie e prendono marito», ha una singolare finalità soprannaturale. La continenza, anche se scelta coscientemente e anche se decisa personalmente, ma senza quella finalità, non entra nel contenuto del suddetto enunciato di Cristo. Parlando di coloro che hanno scelto coscientemente il celibato o la verginità per il Regno dei cieli (cioè «si sono fatti eunuchi»), Cristo rileva – almeno in modo indiretto – che tale scelta, nella vita terrena, è unita alla rinuncia e anche ad un determinato sforzo spirituale. 6. La stessa finalità soprannaturale – «per il Regno dei cieli» – ammette una serie di interpretazioni più dettagliate, che Cristo in tale passo non enumera. Si può però affermare che, attraverso la formula lapidaria di cui egli si serve, indica indirettamente tutto ciò che è stato detto su quel tema nella Rivelazione, nella Bibbia e nella Tradizione; tutto ciò che è divenuto ricchezza spirituale dell’esperienza della Chiesa, in cui il celibato e la verginità per il Regno dei cieli hanno fruttificato in modo molteplice nelle varie generazioni dei discepoli e seguaci del Signore.
E’ vero che Geremia doveva, per esplicito ordine del Signore, osservare il celibato (cfr. Ger 16,1-2); ma questo fu un «segno profetico», che simboleggiava il futuro abbandono e la distruzione del paese e del popolo.
E’ vero, come è noto dalle fonti extrabibliche, che nel periodo intertestamentario il celibato era mantenuto nell’ambito del giudaismo da alcuni membri della setta degli Esseni (cfr. Giuseppe Flavio, «Bell. Jud.», II, 8,2: 120-121; Filone Al., «Hypothet.», 11,14); ma ciò avveniva al margine del giudaismo ufficiale e probabilmente non persistette oltre l’inizio del II secolo.
Nella comunità di Qumran il celibato non obbligava tutti, ma alcuni dei membri lo mantenevano fino alla morte, trasferendo sul terreno della pacifica convivenza la prescrizione del Deuteronomio (23,10-14) sulla purità rituale che obbligava durante la guerra santa. Secondo le credenze dei Qumraniani, tale guerra durava sempre «tra i figli della luce e i figli delle tenebre»; il celibato fu dunque per loro l’espressione dell’esser pronti alla battaglia (cfr. «1Qm.» 7,5-7).
di Giovanni Paolo II (Catechesi del mercoledì, 17 marzo 1982)
Imparare il progetto di Dio per gli sposi può essere un bel regalo di nozze…
Siamo quasi in estate, e ciò significa che molte coppie si sposeranno. Se volete fare un grande regalo al/la vostro/a futuro/a sposo/a, suggerirei di studiare un po’ la Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II.
Imparare il progetto di Dio per mio marito e me, come uomo e donna, così come la chiamata di Dio alla comunione con lui ha cambiato il corso del nostro rapporto prima che ci sposassimo. Quando contraete matrimonio, ricordate che il vostro sacramento è in comunione con la Santissima Trinità e che Dio vi sta chiamando a un incontro più profondo con Lui attraverso il/la vostro/a sposo/a.
La Teologia del Corpo è una raccolta di 129 discorsi che San Giovanni Paolo II ha pronunciato nelle sue udienze del mercoledì dal 1979 al 1984. Sono un tesoro di profondità teologica su ciò che significa essere maschio e femmina in relazione l’uno all’altra e con Dio. Ecco 10 citazioni stupende per farvi partire nel percorso:
1. Gli uomini e le donne sono creati a immagine di Dio
L’uomo, che Dio ha creato “maschio e femmina”, reca l’immagine divina impressa nel corpo “da principio”; uomo e donna costituiscono quasi due diversi modi dell’umano “esser corpo” nell’unità di quell’immagine (2 gennaio 1980)
2. L’uomo e la donna sono stati fatti l’uno per l’altra
Da “solo” l’uomo non realizza totalmente questa essenza [di essere una persona]. La realizza soltanto esistendo “con qualcuno” – e ancor più profondamente e più completamente: esistendo “per qualcuno”… Comunione delle persone significa esistere in un reciproco “per”, in una relazione di reciproco dono (9 gennaio 1980)
3. Il nostro corpo ci permette di diventare un dono per gli altri nell’amore
Il corpo umano… racchiude fin “dal principio”… la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere (16 gennaio 1980)
4. Il corpo rivela il mistero dell’amore di Dio per gli esseri umani
Il corpo, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio [l’amore di Dio per l’uomo], e così esserne segno (20 febbraio 1980)
5. Il matrimonio è la più antica rivelazione del progetto di Dio
Il matrimonio [è] la più antica rivelazione (e “manifestazione”) di quel piano [di Dio] nel mondo creato, con la rivelazione e “manifestazione” definitiva, la rivelazione cioè che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25), conferendo al suo amore redentore indole e senso sponsale (8 settembre 1982)
6. Il matrimonio è l’unione in un’unica carne
Il matrimonio… [è] sacramento in cui l’uomo e la donna, chiamati a diventare “una sola carne”, partecipano all’amore creatore di Dio stesso. E vi partecipano, sia per il fatto che, creati ad immagine di Dio, sono stati chiamati in virtù di questa immagine ad una particolare unione (“communio personarum”), sia perché questa stessa unione è stata fin dal principio benedetta con la benedizione della fecondità (15 dicembre 1982)
7. I mariti sono chiamati ad amare le proprie mogli come ama Cristo, e le mogli a sottomettersi perché amano Cristo
Il marito è soprattutto colui che ama e la moglie invece colei che è amata. Si potrebbe perfino arrischiare l’idea che la “sottomissione” della moglie al marito, intesa nel contesto dell’intero brano (Ef 5, 22-23) della lettera agli Efesini, significhi soprattutto il “provare l’amore”. Tanto più che questa “sottomissione” si riferisce all’immagine della sottomissione della Chiesa a Cristo, che certamente consiste nel provare il suo amore (1° settembre 1982)
8. La vocazione al matrimonio richiede una comprensione della Teologia del Corpo
Coloro che cercano il compimento della propria vocazione umana e cristiana nel matrimonio, prima di tutto sono chiamati a fare di questa “teologia del corpo”, di cui troviamo il “principio” nei primi capitoli del Libro della Genesi, il contenuto della loro vita e del loro comportamento. Infatti, quanto è indispensabile, sulla strada di questa vocazione, la coscienza approfondita del significato del corpo, nella sua mascolinità e femminilità! Quanto è necessaria una precisa coscienza del significato sponsale del corpo, del suo significato generatore! (2 aprile 1980)
9. La sessualità umana è un dono di sé nel matrimonio ed è procreativa
Poiché ad un tempo “l’atto coniugale unisce profondamente gli sposi . . . e li rende atti alla generazione di nuove vite”, e l’una cosa e l’altra avvengono “per la sua intima struttura”, ne consegue che la persona umana (con la necessità propria della ragione, la necessità logica) “deve” leggere contemporaneamente i “due significati dell’atto coniugale” e anche la “connessione inscindibile tra i due significati dell’atto coniugale”. Di null’altro qui si tratta che di leggere nella verità il “linguaggio del corpo” (11 luglio 1984)
10. Cristo è il modello per il matrimonio cristiano
Cristo, manifesta l’amore di cui l’ha amata [la Chiesa] dando se stesso per lei. Quell’amore è immagine e soprattutto modello dell’amore che il marito deve manifestare alla moglie nel matrimonio, quando ambedue sono sottomessi l’un l’altro “nel timore di Cristo” (25 agosto 1982)
Di Constance Hull per Aleteia
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