Il primo anno di Pontificato di Giovanni Paolo II fu caratterizzato anche dalla prima visita agli Stati Uniti. All’interno di quei giorni, ci soffermiamo sullo storico appuntamento all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
La ‘tappa all’ONU’ segnò l’inizio di un dialogo tormentato ma altrettanto proficuo: “Le sfide che la comunità internazionale si troverà di fronte nei prossimi anni e nei prossimi decenni non saranno inferiori a quelle di oggi. Gli eventi che trasformano rapidamente il mondo, gli straordinari passi avanti della scienza e della tecnologia aumenteranno sia il potenziale dello sviluppo, sia la complessità dei problemi. Siate preparati, siate capaci, ma soprattutto abbiate tutti fiducia nell’ideale che servite”. Le parole del Pontefice furono chiare e limpide, e dettarono la linea negli anni successivi della sua ‘politica’ estera, creando orizzonti di confronto, alla luce della parola ‘dialogo con tutti, ma senza cedere ai compromessi’.
“Considerate il vostro contributo non soltanto in termini di incremento della produzione industriale, di aumento di efficienza, di sollievo di sofferenze. Consideratelo soprattutto in termini di crescente dignità per ogni essere umano, di crescente possibilità per ogni persona di progredire verso la pienezza della sua realizzazione spirituale, culturale e umana. La vostra chiamata a un servizio internazionale trae il suo valore dagli obiettivi stessi che sono perseguiti dalle organizzazioni internazionali. Questi obiettivi trascendono le sfere puramente materiali o intellettuali; essi investono la sfera morale e quella spirituale”
Poi Giovanni Paolo II affondò il colpo: “Attraverso il vostro lavoro, potete offrire il vostro amore all’intera famiglia umana, a ogni persona che ha ricevuto il meraviglioso dono della vita, affinché tutti possano vivere insieme in pace e in armonia, in un mondo giusto e pacifico, dove tutti i loro bisogni fondamentali, fisici, morali e spirituali possano essere soddisfatti”.L’AFRICA NEL CUORE DEL PAPA
La prima visita pastorale, compiuta tra il 02 e il 12 Maggio 1980 in terra africana, «l’inculturazione del Vangelo» e «l’africanizzazione» del messaggio cristiano e della realtà ecclesiale furono rivendicate come aspetti imprescindibili per la diffusione del Cristianesimo presso le popolazioni locali. Emerse allora l’idea che, sebbene la fede cristiana non si identifichi con una specifica cultura, il Vangelo possa aiutare i fedeli a vivere appieno la propria dimensione culturale, accompagnando la nascita di originali espressioni di vita, di celebrazione liturgica e di pensiero cristiane, a partire proprio dalle varie tradizioni ancestrali. Giovanni Paolo II – che aveva vissuto in prima persona gli sforzi compiuti dalla Nazione polacca per la difesa della propria sovranità – si è dimostrato sempre favorevole ai processi di autodeterminazione dei popoli africani, invitando i cittadini a prendere in mano il proprio destino ed esserne artefici. Il suo appoggio era rivolto ai movimenti ispirati dai principi di giustizia e dignità nazionale, ai gruppi che rivendicavano la tutela della ricchezza e della specificità delle culture, il rispetto delle relazioni familiari e dei legami sociali propri della collettività. Come è scritto nella sua prima Enciclica «Redemptor Hominis», del 4 marzo 1979, “L’uomo è la via della Chiesa…Ogni uomo in ogni società e in tutto il mondo. Cristo è il Redentore degli uomini.” L’attenzione speciale per l’aspetto umano di ciascun individuo è l’elemento che ha ispirato l’operato di Giovanni Paolo II per l’intera durata del suo Pontificato. Questa premura costante si è concretamente tradotta, in particolar modo, nel sostegno rivolto alle persone svantaggiate, agli oppressi, e nell’amore incondizionato di Papa Wojtyla per l’Africa.
Un continente nel quale egli ha compiuto sedici viaggi dal 1980 al 2000, visitando ben 41 paesi, alcuni dei quali più volte. Nella piena coscienza che lo sviluppo coerente del continente è stato inevitabilmente compromesso dai secoli di schiavitù e di colonizzazione, l’impegno di Karol Wojtyla fu in larga parte rivolto a facilitare l’incontro tra il Vangelo e la realtà delle Chiese locali, dunque l’unione tra i valori cristiani universali e l’elemento culturale africano. Non a caso, proprio sotto il suo Pontificato è stato introdotto il concetto di «inculturazione», una forma di divulgazione della religione che tiene conto dei contributi originali provenienti dalle comunità cristiane autoctone e che si lascia in parte modellare da esse. Sin dal primo viaggio apostolico in Africa, in Repubblica Democratica del Congo e in Congo Brazzaville, Papa Wojtyla ha affrontato i problemi inerenti all’approfondimento dello spirito cristiano e alla cosiddetta “africanizzazione” della Chiesa. Giovanni Paolo II predicava in favore di una Chiesa che potesse farsi carico anche dei problemi familiari, attenta all’autodeterminazione dell’essere umano e al suo sviluppo integrale, ma in un’ottica d’incontro con i fratelli, in una prospettiva di avvicinamento alla dimensione universale della Famiglia Umana e della comunità ecclesiale. “La vostra Chiesa dovrà approfondire la sua dimensione locale, africana, senza mai scordare la propria dimensione universale…”: questo l’invito che Giovanni Paolo II rivolse ai fedeli congolesi, nel lontano 1980, all’arrivo nell’aeroporto di Kinshasa.
Domani, leggeremo insieme, un resoconto dei primi anni del Pontificato di Giovanni Paolo II che introdussero la Chiesa, e il mondo, al nuovo millennio.
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