Sono 100 anni giusti dal quel 28 giugno del 1914, giorno dell’uccisione dell’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este e di sua moglie Sofia per mano del nazionalista serbo Gavrilo Princip; giorno dell’attentato di Sarajevo; giorno che diede inizio alla Prima Guerra Mondiale. Dopo il congresso di Vienna, per circa un secolo, l’Europa aveva conosciuto un lungo periodo di sostanziale pace, ma con l’inizio del 1900 l’equilibrio aveva preso ad incrinarsi rapidamente a causa delle tensioni tra: Inghilterra, detentrice della leadership sui mari, e Germania, con nascenti politiche coloniali; Germania e Francia, rivali coloniali per la questione dell’Alsazia e Lorena; Austria, con mire espansionistiche, e Russia, che vuole ottenere uno sbocco sul mare. Alla luce di ciò gli stati europei presero a stringere alleanze: la Triplice intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) sorse nel 1907, in risposta alla Triplice alleanza (Italia, Austria, Germania). Tra il 1912 e il 1913 scoppiano due brevi ma significative guerre balcaniche che portano la Serbia ad emergere come maggior potenza della zona, in contrasto con l’Austria che, controllando la Bosnia-Erzegovina, gli negava lo sbocco al mare.
Si giunse così a quel 28 giugno 1914, quando, nel giorno di San Vito, noto anche come Vidovdan, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, due colpi di pistola feriscono a morte l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale nella città bosniaca di Sarajevo. Autore dell’attentato lo studente Gavrilo Princip, membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), gruppo politico che mirava all’unificazione di tutti gli jugoslavi. Il gesto fu assunto dal governo di Vienna come il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Dopo appena un mese dall’uccisione della coppia, il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia aprendo un conflitto senza precedenti nella storia, che avrebbe richiesto la mobilitazione di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9 milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili. La prima guerra mondiale era formalmente iniziata.
L’enorme numero di vittime fu il tragico risultato dei ritrovati bellici partoriti dalla Seconda rivoluzione industriale: la guerra fu realmente mondiale poiché ogni singolo spazio ed elemento fu invaso. I cieli vennero occupati dagli aeroplani, per la prima volta impegnati in bombardamenti aerei; i mari solcati da sommergibili dotati di siluri per l’affondamento delle navi, militari e civili. E poi i nuovi fucili, le mitragliatrici, le bombe, i lancia fiamme, le armi chimiche, … Per ciò che concerne invece il corso degli eventi è possibile suddividere il conflitto in due fasi principali. La prima, 1914-1917, con il naufragio della cosiddetta guerra di movimento e l’inizio della guerra di logoramento, e la seconda, con lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre in Russia, l’entrata in guerra degli americani e le sconfitte dell’Austria e della Turchia in oriente, che portano nel 1918 all’affermazione della Triplice alleanza.
L’inizio della prima guerra mondiale, almeno sul piano della convenzione storica, ha una data precisa: il 28 giugno 1914. Durante quella giornata, uno sconosciuto studente bosniaco a nome Gavrilo Princip uccise in un attentato l’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando e sua moglie. Il duplice omicidio avvenne a Sarajevo in Bosnia. I due futuri regnanti stavano compiendo una visita ufficiale in uno dei tanti stati gravitanti sotto l’egemonia dell’impero austro-ungarico retto dalla dinastia asburgica. L’eccidio, come si può immaginare, produsse un’enorme impressione in tutto il mondo. L’Austria additò subito come responsabile dell’accaduto l’organizzazione nazionalistica serba “Mano Nera”, ed in un ultimatum inviato al governo serbo di Belgrado esigeva di partecipare con suoi rappresentanti al processo che si doveva celebrare appunto contro tale organizzazione. Al rifiuto della Serbia di aderire alla richiesta, scattò immediata la reazione austriaca. Il 28 giugno l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. La “Grande Guerra”, come successivamente sarà definita dagli storici, aveva inizio.
E a tal proposito, aveva dato il via, presto imitata dalla sua avversaria, ad una vertiginosa corsa agli armamenti. Con la Francia, invece, vigevano vecchi e mai sopiti rancori legati alla questione dell’Alsazia-Lorena, regione un tempo appartenuta ai francesi, e poi finita in mano tedesca dopo il conflitto franco-prussiano (ricordiamo che la Prussia fu lo Stato che ha riunificato la Germania, svolgendo grosso modo la stessa funzione del Piemonte in Italia) del 1870. Al mai soffocato spirito di rivincita francese, i germanici contrapponevano il ricordo delle cosiddette “crisi marocchine” del 1906 e del 1911. In quell’occasione fu la Germania a sentirsi frustrata nelle sue ambizioni territoriali, poiché il Marocco, soprattutto grazie alla mediazione inglese, fu riconosciuto sotto il protettorato francese. Come si può intuire, alla vigilia di Sarajevo vi erano molti e complicati contrasti che richiedevano soluzioni.
L’Italia era rimasta in un primo tempo neutrale. La Triplice Alleanza, infatti, aveva carattere difensivo, mentre nel caso in questione, si poteva ritenere l’Austria il paese aggressore. Tuttavia, nel giro di pochi mesi, la violenta pressione della stampa interventista, le accese manifestazioni di piazza da parte di minoritari ma attivi settori dell’opinione pubblica (nazionalisti, parte del partito liberale, socialisti dissidenti o interventisti rivoluzionari come Filippo Corridoni e Benito Mussolini), convinsero il governo, presieduto da Antonio Salandra ad intavolare, nell’aprile del 1915, delle trattative segrete con le potenze dell’Intesa. Tali trattative, passate alla storia come “Il patto di Londra”, prevedevano che l’Italia avrebbe ottenuto alla fine della guerra numerosi compensi territoriali, tra questi: il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria, la Dalmazia settentrionale, le città di Gorizia e Gradisca. E inoltre compensi territoriali nelle colonie. Stipulato il patto, la Camera dei deputati fu indotta a ratificarlo, per via delle impressionanti manifestazioni degli interventisti, rimaste poi famose come le “radiose” giornate di maggio. a cura di Giovanni Profeta