Nato a Montgesty nel 1802 e ordinato sacerdote a Parigi nel 1826, Giovanni Gabriele Perboyre desiderando ardentemente di darsi alle missioni estere si recò in Cina e nel 1832 approdò a Macao. Qui esercitò il suo apostolato tra i cristiani nonostante i pericoli della persecuzione. Tradito da uno dei suoi discepoli, fatto prigioniero, fu torturato a lungo e subì il martirio a Outchanfou l’11 settembre del 1840. Tra i cristiani rimasti fedeli, alcuni presero il corpo e gli diedero sepoltura nel luogo della sua predicazione, dove rimase finché non venne traslato nella Casa Madre della Congregazione dei Preti della Missione (Lazzaristi). Fu beatificato il 10 novembre del 1889 e fu canonizzato il 2 giugno del 1996. La sua memoria liturgica ricorre l’11 settembre. (Avvenire)
La sua Diocesi era Cahors. Il suo comune era Puech. La sua parrocchia era il borgo di Mongesty. Lì, il 6 gennaio 1802, figlio primogenito di Pietro Perboyre e di Maria Rigal, nacque Jean-Gabriel Perboyre. Educazione cristiana dalla sua famiglia, negli anni dell’impero di Napoleone, quando molti congiuravano contro la Chiesa. Gli studi elementari al suo paese, con intelligenza e profitto.
Dentro il cuore, il giovanissimo Jean-Gabriel ha una grande passione, un unico amore: Gesù. Per Lui, il Salvatore Crocifisso, ogni giorno cresce nell’amore e dell’offerta a Dio. È soltanto un ragazzo, quando aiuta il padre nei lavori di campagna, incaricato principalmente a sorvegliare i contadini occupati nel podere di famiglia a Puech.
Suo fratello Louis entra nel 1816 nel Seminario di Montauban (Tarn-en-Garonne), diretto dallo zio paterno, Monsieur Jacques, dei Preti della Missione (i Lazzaristi) di San Vincenzo de’ Paoli. Jean-Gabriel, quindicenne, segue il fratello minore in Seminario, per tenergli compagnia per qualche tempo.
Ma in Seminario, si appassiona alla vita religiosa, sulle orme del grande Santo della carità. Allora decide di rimanervi e chiede di essere ammesso alla Congregazione della Missione. È accettato e si dimostra subito un novizio modello, esemplare nella preghiera, nell’obbedienza e nella mortificazione: “Gesù merita tutto: perché non dargli tutto?”.
Il 28 dicembre 1820, offre a Dio i santi voti. Ha 18 anni e comincia a studiare teologia nella Casa-madre della Congregazione a Parigi. Si fa notare per la sua intelligenza non comune, per la sua dolcezza, per la sua carità teologale che lo rende simile a San Vincenzo, il Padre Fondatore. Diventa, senza accorgersene, modello ai suoi compagni di Seminario, che, guardando a lui, si sentono invitati a farsi migliori.
Ha un forte ascendente sugli altri: per questo, è mandato a insegnare ai ragazzi nel collegio San Vincenzo di Mont-Didier (Somme), dove rivela le sue ottime capacità didattiche e il suo zelo per la formazione dei più piccoli, “alla statura di Gesù”.
Sacerdote e maestro
Il 23 settembre 1826, è ordinato sacerdote nella cappella della Casa-Madre a Parigi. Ha 24 anni: un vero innamorato di Gesù. I superiori, pensando di proporlo come esempio ai chierici della Congregazione, lo mandano a insegnare teologia dogmatica nel Seminario maggiore di Saint Flour; quindi è nominato rettore del “pensionato” ecclesiastico aperto nel 1827, nella medesima città. Nell’autunno del 1832, è richiamato a Parigi come vice-maestro dei novizi della casa di San Lazzaro.
Obbedisce e si impegna al massimo, ma P. Jean-Gabriel ha un altro sogno: le missioni in Cina, e chiede ripetutamente e con insistenza di essere mandato, “a portare Gesù Cristo, a convertire le anime a Lui”. Il suo desiderio si fa ancora più ardente, quando il 2 maggio 1831, muore suo fratello, il P. Louis Perboyre, a Batavia, mentre era in viaggio per raggiungere la Cina. Lui dovrà prendere il suo posto.
Finalmente esaudito, il 21 marzo 1835 salpa dal porto di Le Havre, diretto in Cina. Il 29 agosto seguente approda a Macao: lì si ferma qualche mese per intraprendere lo studio della lingua cinese, prima di essere inviato nella provincia centro-meridionale di Honan. Qualche tempo dopo, lì viene nominato primo vicario generale. Segue un anno e mezzo di appassionante lavoro apostolico nella provincia di 174 mila chilometri quadrati, in mezzo a fatiche e difficoltà di ogni genere, le prime persecuzioni comprese.
Missionario
Nel gennaio 1838, è trasferito nella provincia di Hupeh, dove ancora più intensa si fa la sua attività missionaria. Nelle sue predicazioni e nelle sue conferenze spirituali, annuncia: “Esiste una sola realtà necessaria: Gesù Cristo. Il Signore Gesù ha detto: Io sono la Via, la Verità, la Vita. Non ci resta che camminare per questa via. Per non essere distolti da questo proposito, ci occorre una luce che rischiari il cammino. Questa luce non può essere che Lui, Gesù, la Verità in persona: Lui stesso ha detto che chi lo segue non cammina nelle tenebre, ma possiede la luce della vita”.
Scoppia in Cina, la persecuzione anti-cattolica: P. Jean-Gabriel si vede costretto a cercare scampo nascondendosi. Ha una certezza: «Ci occorre anche la forza che ci sostenga in questo cammino e ci faccia perseverare in esso. Gesù stesso, che ha voluto essere nostro nutrimento dandosi a noi nell’Eucarestia, sarà la nostra forza. Per questo ha detto: “Io sono la vita”. Tutto quello che possiamo desiderare lo troviamo nel Crocifisso, nel Vangelo e nell’Eucaristia: non c’è altra via, altra verità, altra vita. Perciò siamo tenuti ad attaccarci a Lui solo, ad apprendere null’altro che Lui e a seguirlo senza interruzione».
Durante la persecuzione, il Padre viene tradito da un vile cristiano che sedotto dalla taglia posta sul missionario, rivela il suo nascondiglio.
Il Padre viene catturato a Tcha-yuen-keu, il 26 settembre 1839 e condotto a Kwang-Ytang, dove subisce un primo e lungo interrogatorio, accompagnato da crudeli torture. Trasferito il giorno seguente a Ku-gheng soffre altri interrogatori e torture, rinchiuso poi nelle malsane prigioni di Wuchang, dove rimane otto mesi tra atroci sevizie e sofferenze; in attesa che la sua condanna a morte, pronunciata contro di lui dal tribunale locale, sia ratificata dall’imperatore.
Martire
In quel triste periodo, P. Jean-Gabriel ha una certezza: “Non possiamo salvarci se non conformandoci a Gesù Cristo. Dopo la morte non ci sarà chiesto se saremo stati sapienti, se abbiamo occupato posti importanti, se ci siamo guadagnati la stima degli uomini, ma ci sarà chiesto se ci siamo applicati a conoscere e imitare Gesù Cristo. Se Dio non troverà in noi alcun tratto del Modello divino, saremo senz’altro respinti; ma se ci saremo conformati a questo Modello saremo glorificati: i santi in cielo non sono altro che immagini di Cristo glorificato come in terra lo furono di Cristo sofferente e dedito alle opere della sua missione”.
Lui, il missionario ardente, ormai vicino a essere sacrificato, dalla sua fanciullezza, aveva sempre fatto così: essere conforme a Gesù.
La ratifica dell’imperatore giunse al mattino dell’11 settembre 1840. A mezzogiorno, il P. Jean-Gabriel Perboyre, 38 anni di età, veniva crocifisso come Gesù e finito a colpi di spada. Tutto si era compiuto, proprio come lui aveva desiderato, quando ancora si preparava al sacerdozio: la vita e il sangue per Gesù.
Le sue spoglie mortali, deposte sulla “Montagna rossa”, il cimitero della città dove era stato giustiziato, poterono essere traslate in Francia nel 1860 e deposte nella Casa-madre della sua Congregazione. Papa Gregorio XVI sin dal 1843 aveva iniziato la sua causa di beatificazione. Il 10 novembre 1889, Leone XIII lo iscrisse tra i beati. Giovanni Paolo II lo iscrisse tra i santi.
In una sua conferenza spirituale, come leggiamo nella Liturgia delle Ore il giorno della sua festa, l’11 settembre, egli aveva detto, tutto cristocentrico, così com’era: “Teniamo sempre Gesù Cristo davanti agli occhi, cogliamo i suoi sentimenti intimi e appropriamoci delle sue virtù, del suo stile, della sua vita”.
Di Paolo Risso
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