Guarita da un tumore al cervelletto, ha sentito più volte accanto a sè la presenza del santo e si è trasferita nel paese del foggiano. E’ stato un profumo, “quel profumo di fiori freschi”, a spingerla a tornare lì da Torino, dove da anni viveva tutta la sua famiglia, e rimettere radici, per stare vicino a Padre Pio, perché “è mio e nessuno me lo tocca”. Sabina Settanni è una donna sulla cinquantina, sposata e madre di due figli.
Vive a San Giovanni Rotondo da 21 anni, da quando cioè ha deciso di affidarsi alle cure dei medici del paese del foggiano per un tumore al cervelletto, da cui ora è completamente guarita. E oggi che le spoglie del santo sono a Roma in occasione del Giubileo, è impossibile nascondere la tristezza. “Non possiamo farci nulla – dice a LaPresse – perché era un desiderio di Papa Francesco e i nostri frati lo hanno accontentato. Da una parte siamo felici, perché tanta gente lo vedrà, ma è anche vero che i fedeli potevano venire qui, con la macchina o con il treno. Sono i pellegrini che vanno dal santo e non il santo che va dai pellegrini”. In ogni caso, dice Sabina, “lui tornerà, perché non si può spostare Padre Pio da San Giovanni Rotondo e perché – dice sorridendo – altrimenti vado dal Papa a riprendermelo”. In questi giorni il paese è comunque pieno di turisti e pellegrini. “Io lavoro in un albergo dei frati cappuccini – racconta Sabina – e siamo pieni. Ogni sera c’è il rosario e abbiamo prenotazioni per tutto l’anno”.
La storia di Sabina Settanni e del suo legame indissolubile con Padre Pio inizia nel 1994. A quell’epoca vive in un piccolo paese in provincia di Torino con la sua famiglia, una delle tante che negli anni ’60 attraversarono lo Stivale per raggiungere l’industrializzato Piemonte. Il marito Pino è originario di San Giovanni Rotondo, dove abitano ancora molti parenti. Sabina inizia a stare poco bene: le frequenti visite in ospedale non chiariscono la sua situazione e nessuno capisce quale sia il problema. Ad agosto del 1994 è in vacanza dalla famiglia del marito e due giorni prima di tornare a Torino la situazione peggiora. Sabina corre all’ospedale di San Giovanni, dove le viene diagnosticato un tumore al cervelletto. “I medici – racconta commossa – mi hanno detto che se fossi partita in quelle condizioni probabilmente sarei morta. Credo sia stato Padre Pio a ‘farmi stare male’, proprio per impedirmi di mettermi in viaggio. Io sono stata graziata da lui”.
L’intervento va bene, il tumore è fortunatamente benigno, ma Sabina trascorre molto tempo in rianimazione e poi a letto per riprendersi dall’operazione. E’ lì che per la prima volta sente la presenza del frate cappuccino. “Continuavo a sentire un fortissimo profumo di fiori e vedevo un’ombra accanto al letto. Gli altri, però, non sentivano quell’odore. Ne ho parlato anche con i frati e per loro quello era proprio l’odore di Padre Pio. Mi sono convinta e non riuscivo ad allontanarmi da lì”.
Quando le condizioni di salute glielo permettono Sabina torna a Torino. “Anche qui – ricorda – sentivo continuamente quel profumo. Tornavo a San Giovanni ogni due mesi per i controlli di routine e ogni volta ripartire era doloroso”. A dicembre del 1995 decide di trasferirsi lì insieme alla famiglia. “Non è stato facile – racconta – perché la mia famiglia era a Torino e i miei figli erano giovani. Ma ho sentito il bisogno di farlo e d’accordo con mio marito siamo venuti qui”. L’arrivo a San Giovanni le ha regalato un nuovo contatto diretto con Padre Pio. Una notte Sabina sente dei rumori in camera, proprio vicino al letto. “Pensavo fosse mio marito – dice – perché rientrava sempre tardi dal lavoro. Sentivo un respiro sul viso, ma io non riuscivo ad aprire gli occhi. Quando ho realizzato che ero davvero spaventata è finito tutto. Ho controllato in tutta la casa, ma non c’era nessuno. Per me quello era il respiro di Padre Pio”. Da allora Sabina è devota al santo. C’era anche lei il 3 febbraio all’interno della basilica di San Giovanni Rotondo a lui dedicata per l’ultimo saluto prima del ‘viaggio’ delle spoglie in direzione Roma. “Ha fatto tante cose buone – conclude – e ha tanto bisogno di preghiere. Spero che anche i più giovani possano riscoprirlo”.
di Elena Fois