Ci sono pagine straordinarie e difficili nei vangeli: quella in cui si racconta il battesimo di Gesù è una di esse. Le azioni si incrociano con le parole e le parole con la Parola: è la testimonianza del Padre che rivela in Gesù il proprio Figlio (Mc 1,9-11)
Il racconto è appena iniziato, o forse sta soltanto iniziando. La scena è dominata da Giovanni, colui che precede Gesù e ne prepara la via. È il battezzatore nel deserto a levare per primo la voce: coloro che lo ascoltano sono risvegliati al senso di Dio e alla necessità di cambiare qualcosa nella propria vita. Che gli animi siano preparati ad accogliere la radicale esortazione alla conversione che di lì a poco Gesù avrebbe rivolto a molti (Mc 1,15).
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Un gran numero di persone dalla Giudea e da Gerusalemme accorrono presso la valle intorno al Giordano per vedere il Battista, ascoltarlo e farsi battezzare. Egli è retto, onesto: ha coscienza di non essere il “più forte”, il più importante; non osa neppure paragonarsi ad uno schiavo, tra i cui compiti c’è quello di sciogliere i lacci ai sandali del suo padrone. Egli sa altrettanto bene che cosa sta facendo: il battesimo, quello vero, in Spirito Santo, non lo può dare lui, ma il Messia che sta per arrivare.
Viene da Nazaret di Galilea: là era cresciuto e per molti anni aveva vissuto. La sua famiglia è conosciuta: è il figlio di Maria e del falegname. Viene da là, ma il tempo di essere rivelato al mondo si sta compiendo. Il suo è un arrivo improvviso, non annunciato. Nessuno lo accompagna, nessuno lo introduce; non parla, non fa discorsi. Come gli altri viene “battezzato nel Giordano da Giovanni”. Uno dei tanti, uno tra i tanti, eppure è “il più forte”, colui che avrebbe battezzato nello Spirito. La scena è talmente scarna da non lasciar immaginare nulla. Ed è giusto che sia così: Gesù è Dio ed è uomo tra gli uomini, povero tra i poveri, totalmente solidale con l’umanità.
Egli non ha bisogno né di perdono, né di conversione, ma è nella debolezza che vuole mostrarsi. Ci colpisce che il momento stesso in cui Gesù entra nel racconto, vi prenda parte da umile, si confonda coi peccatori e lo faccia veramente, intendo dire con la volontà di assumere il nostro cuore per cambiarlo dal di dentro e salvarci. È la scelta costante di Gesù che lo porterà a privilegiare tutto ciò che è ultimo e tutti coloro che sono ultimi ed umili per farne luogo della manifestazione dell’amore potente di Dio. La Croce ne sarà la prova più esaustiva. In fondo la storia del battesimo di Gesù parla la stessa lingua della passione e della morte di Gesù che fa propria la nostra povertà ed il nostro peccato per redimerci con la debolezza più radicale del sacrificio della vita.
La scelta di Gesù di Nazaret potrà sembrare strana quanto basta, eppure è vincente! Nel momento stesso in cui egli esce dall’acqua dopo essere stato battezzato, è Dio stesso che si rende infatti presente per attestarne il valore: lo squarcio nei cieli è nel linguaggio biblico chiara indicazione simbolica della rottura di ogni forma di separazione tra noi ed il Signore dell’universo. Nella persona di Cristo, nella sua scelta per la debolezza, Dio ci incontra e ci riapre la strada verso il Cielo.
Lo Spirito scende su Gesù, rimane con lui ed attesta chi egli è. Infine una voce dal cielo: azioni e parole ora tacciono perché si ascolti la Parola in cui il Padre rivela che Gesù è suo Figlio, l’amato di cui il egli suffraga il cammino e di cui compiace. Stupisce, ma proprio nella debolezza il Padre sceglie di incontrare il Figlio e di manifestarlo. Non è una casualità che a metà del Vangelo di Marco, dopo che Gesù ha annunciato la sua passione, si faccia presente per la seconda volta il Padre per riconfermare che Gesù è suo Figlio e che le sue parole sulla debolezza sono da ascoltare e da imitare perché sono via di salvezza.
Autore: Marco Rossetti sdb
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