Benedetta Capelli – Città del Vaticano
La Prefettura della Casa Pontificia ha annunciato, per il 15 settembre, la visita pastorale di Papa Francesco alle diocesi di Piazza Armerina e di Palermo, a 25 anni dall’uccisione del Beato don Pino Puglisi. Proprio il 15 settembre 1993, don Pino morì sotto i colpi dei sicari della mafia che così volevano cancellare la sua voce libera e mettere fine alla sua opera di evangelizzazione tra i ragazzi del quartiere Brancaccio di Palermo.
Papa Francesco ricordando don Puglisi lo ha definito “un esempio da seguire” per contrastare una mentalità mafiosa. Don Giuseppe nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56.mo compleanno. Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, da lì inizia un incessante lavoro sui giovani e le famiglie del quartiere suscitando le attenzioni della mafia. Per questo venne ucciso davanti al portone di casa in Piazzale Anita Garibaldi. Nel 2012 il riconoscimento del martirio “in odium fidei”. Il 25 maggio 2013 la beatificazione a Palermo.
Gratitudine e gioia sono i sentimenti della Chiesa siciliana per la visita del Papa, accolta con grande affetto in particolare dal Centro di accoglienza “Padre Nostro”, fondato dallo stesso Don Puglisi nel 1991 per il recupero dei minori, reclute favorite della criminalità organizzata. Il presidente Maurizio Artale, nell’intervista a Vatican News, ricorda la figura del sacerdote, il cui ministero richiama quello di Papa Francesco.
R. – L’anno scorso quando Francesco e Gaetano, i fratelli di don Puglisi, avevano scritto al Santo Padre chiedendo se poteva venire a Palermo, ci è sembrata una cosa strana il fatto che non ci avesse risposto. Ma avevamo lasciato aperto uno spiraglio; ci credevamo tantissimo che lui nel 25.mo anniversario del suo martirio sarebbe venuto. Quindi per noi è una grande gioia per due motivi. Il primo perché il Santo Padre viene a Palermo e il secondo, perché viene a fare visita al centro di don Puglisi, nel luogo dove è stato ucciso e nella casa dove lui ha vissuto. Quindi per noi è un momento forte, di emozione, ma soprattutto come persone di fede che credono nello stesso Cristo dalla Risurrezione in cui ha creduto padre Puglisi. Questo è un ulteriore segno che il Papa vuole dare a questa comunità che sicuramente è stata tanto martoriata, ma che è stata tanto amata da Dio, perché ha portato il martire beato Puglisi.
Papa Francesco ha detto più volte che lui è un esempio da seguire nell’affermare i valori umani e cristiani contro chi li calpesta con la criminalità. Come risuonano per lei queste parole?
R. – Soprattutto è un riconoscimento del metodo con il quale Puglisi annunciava il Vangelo nella quotidianità senza fare azioni straordinarie. La linea che unisce Papa Francesco al beato Giuseppe Puglisi si è vista fin dal primo giorno dell’apparizione di Papa Francesco: erano uniti dal senso della povertà, dell’umiltà, dal senso del servizio, il senso di quel modo naturale di parlare di cose importantissime come Gesù alle persone a cui spesso non veniva presentato nella giusta maniera, perché il cuore di tutti è pronto per accogliere Gesù. il problema è come viene annunciato Gesù.
Cosa resta ancora oggi della testimonianza di don Pino Puglisi tra le persone di Brancaccio e tra le persone siciliane che sentono questa presenza ancora viva?
R. – Ieri c’è stata una bellissima manifestazione. Abbiamo celebrato il quinto anno dalla sua beatificazione con 1500 bambini delle scuole di Brancaccio. Ci siamo uniti tutti insieme e abbiamo fatto una marcia che ha toccato tutti i luoghi del beato Giuseppe Puglisi fino a Piazzale Anita Garibaldi, Ogni bambino si è esibito. Ecco, vedere questi bambini festosi e soprattutto vedere alcuni bambini che sono diventati ciceroni capaci di spiegare la vita di Puglisi nella casa dove lui ha vissuto, è una cosa veramente emozionante, che ti fa capire soprattutto che finalmente la figura di questo piccolo prete, di questo prete umile, è riuscita a fare breccia nella vita dei bambini.
Don Pino Puglisi si è battuto comunque con la sua vita per contrastare una mentalità malavitosa. Oggi questa battaglia culturale come prosegue? È vinta, secondo lei?
R. – No, ancora non è vinta del tutto, ma sicuramente è una battaglia che va fatta nella quotidianità. L’ultimo sogno che vogliamo realizzare di padre Pino Puglisi è l’asilo nido a Brancaccio. Attraverso i bambini noi possiamo veramente cambiare e lui su questo ha puntato tantissimo, perché capiva che la leva per scardinare la mentalità mafiosa sono i bambini. Fare breccia nei bambini significa fare breccia nel cuore delle mamme dei bambini che in qualche modo riescono, quando sono supportate, a fare breccia anche nel cuore dei loro uomini, dei loro compagni.
Cosa dirà al Papa di padre Puglisi, del “suo” padre Puglisi?
R. – Dirò che sicuramente ci ha fatto un dono inenarrabile! Ma vorrei stare con lui anche dieci secondi, mano nella mano, davanti a quel medaglione che noi abbiamo posto a Piazzale Anita Garibaldi dove lui è caduto, perché quella non è una caduta che non prevede un rialzarsi; quello è il luogo dove lui è caduto perché ha fatto rialzare tutte le persone di buona volontà non solo di Brancaccio. Lui è stato un esempio, anche uno stimolo, per i sacerdoti della chiesa palermitana. Da oggi in poi come continuiamo ad essere sacerdoti del Signore? Alla maniera di Puglisi o alla maniera in cui abbiamo vissuto fino ad oggi? Quindi Puglisi ha dato anche una svolta al modo nuovo di essere sacerdoti nella Chiesa martoriata anche dalla mafia.
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