Dall’Osservatore Romano – Archivio – A causa di Cristo e del Vangelo: con queste parole si può riassumere la vita di Roger Schutz Marsauche, fratel Roger, che nasceva un secolo fa — il 12 maggio 1915 — per morire, ormai novantenne, ucciso da una squilibrata durante la preghiera della sera il 16 agosto 2005. Figura fragile dal volto luminoso, il pastore protestante svizzero le aveva scelte per l’inizio della regola (La règle de Taizé) iniziata alla fine del 1952 e poi completata nella solitudine e nel silenzio di un lungo ritiro durante quell’inverno: «Fratello, se tu ti sottometti a una regola comune, tu lo puoi solamente a causa di Cristo e del Vangelo. La tua lode e il tuo servizio sono ormai integrati in una comunità fraterna, lei stessa incorporata alla Chiesa». Parole semplici, ispirate dal vangelo di Marco (10, 29), che restano al cuore di una delle testimonianze cristiane più significative del Novecento.
Taizé è un villaggio di poche case attorno a un’antica chiesetta romanica, su una collina della Borgogna a pochi chilometri da Cluny, e qui il pastore venticinquenne era arrivato in bicicletta il 20 agosto 1940 — festa di san Bernardo e data di origine della comunità — in una Francia ormai divisa e lacerata dal conflitto che devastava il continente. Un’altra tragedia bellica aveva lasciato una traccia profonda nella nonna, e da questa anziana donna amatissima che aveva conosciuto gli orrori della prima guerra mondiale il bambino trasse due convinzioni: che bisogna iniziare in se stessi a vivere la riconciliazione e la certezza che la pace in Europa passa necessariamente dalla riconciliazione dei cristiani tra loro. Così Roger iniziò ad accogliere tutti, ebrei perseguitati prima, prigionieri tedeschi e piccoli orfani dopo la conclusione del conflitto.
Per rispondere alle guerre nacque anche uno dei simboli della comunità, la grande chiesa della Riconciliazione costruita insieme da francesi e da tedeschi perché ormai la piccola chiesetta romanica non bastava più per i giovani che dalla fine degli anni Cinquanta cominciarono ad arrivare da ogni parte per incontrarsi e pregare. A loro volta da Taizé alcuni fratelli della comunità iniziarono discretamente a visitare i cristiani soffocati dall’oppressione dei regimi comunisti nell’Europa centrale e orientale. Si consolidarono così legami duraturi e una comunione che hanno ben presto oltrepassato i limiti confessionali e i confini europei. Così nell’originale comunità monastica, nata nel protestantesimo ma con un’impronta ecumenica chiarissima, alla fine degli anni Sessanta iniziarono a entrare molti cattolici, tra i quali Alois Löser, oggi successore di fratel Roger.
Già nel luglio 1941 il giovane pastore incontra Paul Couturier e Maurice Villain, due preti cattolici pionieri dell’ecumenismo, e l’incontro richiama in lui il rispetto verso il mistero della fede, non importa in quale confessione: «Questa volontà di attenzione — scrive — mi serve al presente. Credo di avere oggi colto dall’interno la posizione cattolica romana di questi preti. Tutti e due hanno capito la mia inquietudine: l’indifferenza dei cristiani di fronte alle nostre divisioni». Da questa inquietudine è nata la comunità di Taizé, per riconciliare in sé e nella vita di ogni giorno le separazioni, forma realizzata di ecumenismo, riconosciuta negli anni da Roma e dai principali responsabili delle Chiese e delle confessioni cristiane. E che si è rivelata una delle testimonianze di Cristo e del Vangelo oggi più efficaci e attraenti.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Osservatore Romano
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