Il matrimonio è un fatto di grazia, di vocazione, un servizio e una missione nella Chiesa e nella società. Sposarsi, e sposarsi in chiesa, ha dunque il senso che i due sposi mettono a disposizione di Dio il loro amore, perché venga trasformato in annunzio del suo amore per il mondo.
Amandovi dite al mondo che Dio c’è”: è una frase di padre Pino Puglisi pronunciata durante l’omelia per il mio matrimonio. Era l’11 maggio del 1990. Il primo ottobre di quell’anno iniziò la sua missione a Brancaccio, conclusa con un colpo di pistola alla nuca, il 15 settembre del 1993. La mafia non aveva potuto tollerare la sua fede e la sua predicazione: per questo è stato proclamato martire della Chiesa cattolica il 25 maggio 2013.
Oggi, ripensando a quella frase, ci ritrovo tutto il suo amore e la sua preoccupazione per la famiglia. Proprio mentre le crisi matrimoniali si moltiplicavano, dagli anni Settanta in poi, nella nostra società padre Pino sapeva parlare alle coppie di pazienza, di gioia dell’incontro, di perdono. Un percorso lungo quanto la sua vita. Quanti incontri con mariti e mogli anche nell’ambito delle iniziative della Presenza del Vangelo (ricordiamo l’esperienza dei cenacoli a Godrano, dove fu parroco dal ’70 al ’78). Quanti momenti di riflessione, quante confessioni e dialoghi personali con le coppie di cui aveva benedetto le nozze. Negli anni Ottanta, su idea dell’amico preside, Antonio Raffaele, si formò proprio un gruppo di amici, il cui matrimonio era stato officiato da padre Puglisi: si riunivano tutti una mattina al mese per compiere un cammino di crescita spirituale con il loro maestro.
Io e mia moglie eravamo compagni di classe: per noi padre Pino era all’inizio l’insegnante di religione, divenne poi il nostro direttore spirituale e amico. La cosa più naturale fu chiedergli di benedire le nostre nozze. E poi seguirlo a Brancaccio per dargli una mano, pur non abitando nel quartiere. Abbiamo così vissuto anche la terribile stagione delle minacce e degli attentati, che si conclusero con l’omicidio di mafia.
Ripensare oggi al suo insegnamento è come cercare le radici della sua fede e del suo coraggio che lo spinsero a non cedere, a non scappare. Come il buon pastore, diede la vita per difendere le sue pecore.
Prima potevamo andare a casa sua a qualunque ora per chiedergli un consiglio o una confessione. In quell’ultimo periodo, nel 1993, aveva invece vietato a tutti di visitarlo nella sua abitazione. Preferì rimanere solo pur di non mettere a rischio la vita di altri.
Qual è il senso del matrimonio? Padre Pino ci spiegava: il nostro Dio non sa stare solo. Ci insegna, col dono della creazione, che la vita diventa vera se vissuta con gli altri e per gli altri. Adamo, creato da Dio simile a lui, è l’atto più grande dell’amore di Dio. Adamo però ha bisogno di Eva. E così due persone che si sposano devono tendere a sperimentare cosa significa l’esigenza di essere due e nello stesso tempo una cosa sola. Mantenere la propria identità eppure fondersi in una unità nuova. Nella creazione Dio ci ha fatti uomini e donne, ma torneremo a lui – che è l’Unità assoluta – nell’unità della coppia che abbiamo formato come sposi attraverso il sacramento. Per questo il matrimonio è una scelta che indirizza tutta la nostra esistenza; come è la scelta della consacrazione a Dio da parte di una suora o di un sacerdote.
Padre Puglisi è stato ucciso ma il suo sacrificio l’ha fatto conoscere in tutto il mondo ed è diventato un modello e un esempio di amore cristiano. Per questo vogliamo concludere con altre sue parole che oggi assumono un valore profetico sul cammino e sulla vocazione: “Nessuno di noi si può presentare come la perfetta realizzazione del progetto di Dio. Bisogna con umiltà accettare l’idea che il progetto su di noi ci sovrasta sempre ed è sempre avanti. E quindi il cammino, anche della coppia, è sempre evolutivo. Non siamo mai seduti, già arrivati al capolinea. Qualche volta il timore può venire proprio da questo, dalla non corrispondenza totale al progetto per la nostra inadeguatezza. Ma questo non deve spingerci al pessimismo, alla disperazione. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito. Presentare quanto abbiamo fatto e dire: Signore, era questo il progetto; io non ci sono riuscito in pieno, però ho tentato”.
Ed ecco la conclusione, con le sue parole: “Tutti quanti formiamo, come in un mosaico, l’unico volto del Cristo. Pensiamo al grande ritratto di Gesù raffigurato nel duomo di Monreale. Ciascuno di noi è come una tessera di questo grande mosaico. Tutti quanti dobbiamo capire qual è il nostro posto e dobbiamo aiutare gli altri a capire qual è il proprio, perché si formi l’unico volto del Cristo.
Venti, sessanta, cento anni, la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo».
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L’autore: Francesco Deliziosi, caporedattore del Giornale di Sicilia, vive e lavora a Palermo. Allievo di padre Puglisi al liceo, lo ha poi seguito durante il periodo di Brancaccio conclusosi con l’omicidio. Ha fatto parte della commissione diocesana per l’istruttoria della causa di beatificazione, collaborando anche con il Postulatore. E’ autore della biografia “Pino Puglisi – il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” (Rizzoli). Testo richiesto per la pubblicazione sulla rivista di “Presenza del Vangelo”.
Redazione Papaboys (Fonte www.beatopadrepuglisi.it)
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