Era il primo incontro di massa che un capo della Chiesa cattolica aveva con il mondo musulmano, dopo 14 secoli di pregiudizi, di conflitti, di “guerre sante”. Da una parte, le Crociate; dall’altra, i ripetuti tentativi di occupare l’Europa. Sì, certo, il Concilio Vaticano II aveva detto cose nuove anche nei riguardi della religione musulmana. Ma che parole usare in quel primo contatto ravvicinato? C’era il rischio di riaprire nuovamente gli archivi di una storia penosa. O, anche senza volerlo, di dire qualcosa che potesse offendere o quanto meno irritare chi ascoltava.
Wojtyla fece la scelta giusta, e più credibile. Si presentò per quello che era, e chiarì subito quali fossero le sue intenzioni. Senza furbizie, senza giri di parole, senza travestimenti. Si presentò come vescovo di Roma , e come credente in Dio di fronte a credenti in Dio, spiegando che era andato lì per parlare di Cristo. “Con molta semplicità, vorrei darvi qui la mia testimonianza di ciò che io credo”.Quella sincerità conquistò immediatamente l’immenso uditorio. I giovani ascoltavano attenti, affascinati. E lo si capiva da come applaudivano dopo i passi più importanti, quasi che avessero conosciuto in anticipo il testo del discorso.
Diceva il Papa: cristiani e musulmani, in quanto figli di Abramo, credono nello stesso Dio, “il Dio unico, il Dio vivente, il Dio che ha creato i mondi e porta le sue creature alla perfezione”. Cristiani e musulmani, perciò, hanno molte cose in comune, come credenti e come uomini; e, in un mondo sempre più secolarizzato e ateo, devono rendere comune testimonianza dei loro valori spirituali. “Ci siamo trovati su posizioni opposte e abbiamo consumato le nostre energie in polemiche e guerre. Io credo che Dio ci chiami, oggi, a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo rispettarci. E dobbiamo stimolarci a vicenda nel compiere opere di bene”.
Era il 19 agosto del 1985, esattamente trent’anni fa. Quello straordinario incontro – molti giornali arabi ne riferirono in maniera positiva – segnò l’avvio della strategia wojtyliana per il dialogo interreligioso, delineando il modello di convivenza che avrebbe dovuto presiedere ai rapporti tra le religioni.
L’anno dopo, primo Papa nella storia, Giovanni Paolo II entrò in una sinagoga, a Roma; quindi, convocò ad Assisi la Giornata mondiale di preghiera per la pace. E anche con l’islam le relazioni migliorarono considerevolmente, tanto che, sempre per la prima volta, il Papa entrò in una moschea, quella degli Omayyadi, a Damasco, il 6 maggio del 2001.
Passarono solo pochi mesi, e, a bloccare quei progressi, arrivòl’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle. Tutto fece pensare – e, in una certa misura, sicuramente lo è stato – all’inizio di una vera e propria offensiva per attaccare al cuore l’Occidente . Ma, in realtà, il terrorismo di al-Qaida e di Osama bin Laden non era altro che la punta dell’iceberg, la spia di una ripresa su vasta scala dei fondamentalismi islamici, e, prima ancora, del conflitto, interno all’islam, tra sunniti e sciiti, tra Iran e Arabia Saudita per la supremazia politica regionale.
E, da lì, è cominciata una tragedia infinita, nella quale l’Occidente – sia per le disastrose iniziative belliche anglo-americane, sia per i compromessi sottobanco imposti dal “ricatto” del petrolio – si è fatto sempre più coinvolgere, aggiungendo un fattore di instabilità in più per la comunità mondiale. E intanto, ancora irrisolto lo scontro israelo-palestinese e rivelatesi effimere le “primavere” arabe, la situazione mediorientale è andata via via precipitando. E, proprio dall’aumentare della frammentarietà, della conflittualità e dei dogmatismi, è nato lo Stato islamico (IS), poi il Califfato, con i jihadisti che si sono già resi responsabili di stragi orrende e di una pulizia etnica senza precedenti. E, le prime a patirne drammaticamente le conseguenze, sono state le comunità cristiane, ormai quasi cancellate – per i massacri o gli esodi forzati – dalle terre che abitavano da sempre.
Ed ecco perché, a fronte di questa tremenda spirale di odio e di violenza, bisogna ricordare e riproporre l’incontro di Casablanca di trent’anni fa, tra Giovanni Paolo II e gli 80 mila giovani musulmani. Quell’incontro, infatti, dimostrò come fosse possibile – e, dunque, può esserlo anche oggi – una diversa lettura della storia islamica. E cioè, è possibile leggere il Corano, non come un manuale di guerra, ma come il libro sacro di Allah, Dio della clemenza, della misericordia, e dove la parola “pace” viene ripetuta 51 volte. E’ possibile verificare che c’è stato anche un Maometto pacifico, almeno nel primo periodo della sua avventura. E’ possibile scoprire che l’islam non è sempre stata solamente una “religione della lotta” (come sostiene il capo dell’IS, Abu Bakr al-Baghdadi), ma che per lunghi tratti della sua storia è stata in pace al suo interno e, all’esterno, con altri popoli, con altre religioni, in particolare con l’ebraismo.
Sarà il futuro – specialmente alla luce del recente accordo di Vienna sul programma nucleare iraniano – a dire se potranno spuntare nuovi scenari nel Medio Oriente. Se l’orrore suscitato dalle stragi terroristiche provocherà un soprassalto nella coscienza collettiva del mondo arabo. Se l’islam, trovando un minimo di atteggiamento unitario, avrà la forza di confrontarsi con la modernità, di costruire un proprio Rinascimento. Ma è evidente che, se nell’islam si mettesse in moto un processo di cambiamento, avranno un ruolo decisivo – e qui ritorna di nuovo l’attualità dell’incontro di Casablanca – i rapporti tra le religioni. Ciascuna, naturalmente, conservando la propria eredità spirituale. Ma senza più rivalità.Senza lasciare che la fede torni ad essere, come purtroppo è stata, fonte di intolleranze, di dissidi, di guerre.
Altrimenti, se le religioni continueranno a contrastarsi, a combattersi, o anche solo a ignorarsi, come sarà possibileconvincere i popoli, gli uomini, a incamminarsi nuovamente sulle vie di una vera pace?
Redazione Papaboys (Fonte www.aleteia.org/ Gian Franco Svidercoschi)
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