A volte la cultura del relativismo ci fa pensare che le cose che hanno a che vedere con il male e la battaglia spirituale siano solo idee. Crediamo così che il nostro peccato sia sempre meno grave.
http://www.papaboys.org/battaglie-davvero-potenti-contro-il-nostro-peccato-nelle-quali-non-possiamo-perdere/
“Dobbiamo sempre vigilare, vigilare contro l’inganno, contro la seduzione del maligno… Possiamo farci la domanda: ‘Io vigilo su di me, sul mio cuore, sui miei sentimenti, sui miei pensieri? Custodisco il tesoro della grazia? Custodisco la presenza dello Spirito Santo in me? O lascio così, sicuro, credo che vada bene?’” (papa Francesco, omelia a Santa Marta, 11 ottobre 2013).
Vi invitiamo a meditare su alcune abitudini peccaminose che ci permettiamo, che ci allontanano da Dio e dalla nostra felicità. Analizziamo il nostro cuore e stiamo attenti a non cadere nelle mani del nemico.
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“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Matteo 5, 21-22)
Gesù eleva la richiesta del comandamento “non uccidere” passandola sul piano spirituale, considerando che anche arrabbiarci, insultare e trattare male l’altro è un modo di uccidere. Vi invito a chiedervi quante volte con le nostre parole abbiamo ucciso qualcuno, ferendolo gravemente. Forse non in modo interno ma sul piano sociale e pubblico, parlandone male agli altri. Anche chi vi ha ascoltato e ha creduto a tutto ciò che avete detto gli ha dato la morte.
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Papa Francesco ha esortato in un tweet a non serbare rancore verso nessuno per non tenere nel cuore cose superflue. Con quanti bagagli state realizzando il vostro viaggio nella vita? Spesso trasciniamo valigie pesanti di mancanza di perdono e rancore per cose che ci sono state fatte solo nella nostra immaginazione, ingrandendo ed esagerando situazioni, facendoci vittime più del dovuto. Sicuramente veniamo feriti molte volte al giorno, ma è anche vero che alimentiamo i nostri pensieri di rancore, pianificando la nostra vendetta o preparando i nostri discorsi per andare ad attaccare chi ci ha offesi.
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Sicuramente non ci si comporta sempre come l’“impiegato del mese”, anzi ci sono occasioni in cui se venissimo scoperti sarebbe un guaio. Sul lavoro non è sempre facile riconoscere le nostre mediocrità, negligenze e mancanze – quelle volte in cui anziché assumerci le nostre responsabilità sprechiamo tempo in altre cose. Questo è già grave, ma mentire per nasconderlo lo è ancor di più. E non parliamo del responsabilizzare gli altri per le nostre mancanze, o dello slegarci da quello che dovevamo fare incolpando il sistema, le macchine o persone che si trovano a chilometri di distanza. Un buon consiglio per evitare di dover mentire è fare ciò che si deve fare. Al riguardo Gesù è chiaro e duro, soprattutto quando parla del rapporto tra la menzogna e il demonio, riferendosi a lui come al “padre della menzogna” e ai bugiardi come suoi figli. Dio ci liberi dall’essere figli di questo tipo. Noi siamo figli di Dio.
“… voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro… Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Giovanni 8, 43).
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La fede non è codarda, chiedetelo alla grande maggioranza dei santi dei primi tre secoli, quasi tutti i martiri che hanno vissuto la propria fede al limite, assumendone tutte le conseguenze, anche donando la propria vita. È risaputo che “nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce” (cfr. Lc 8, 16), ma la realtà è che al giorno d’oggi dobbiamo prendere questa lampada della fede e toglierla dalla casa. Non basta metterla sul tavolo della mensa familiare, dobbiamo uscirci in strada, perché la gente non entra più in casa a godere la luce.
“Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza. Lo spirito di timidezza va contro il dono della fede, non lascia che cresca, che vada avanti, che sia grande. E la vergogna è quel peccato: ‘Sì, ho la fede, ma la copro, che non si veda tanto…’. E’ un po’ di qua, un po’ di là: quella fede, come dicono i nostri antenati, all’acqua di rose, così. Perché mi vergogno di viverla fortemente. No. Questa non è la fede: né timidezza, né vergogna. Ma cosa è? E’ uno spirito di forza, di carità e di prudenza. Questa è la fede” (papa Francesco, omelia a Santa Marta, 25 gennaio 2015).
Che il timore e la vergogna nell’annunciare Gesù non entrino nel nostro cuore!
Sappiamo che il nuovo comandamento è amare il prossimo. È qui la chiave di tutto. Parlare di materialismo sarebbe ridondante e si è già detto molto al riguardo. Vogliamo portare gli altri alla nostra fede e alle nostre “pratiche” dentro la Chiesa. Spesso noi cattolici amiamo più l’istituzione (la Chiesa) e le sue pratiche che le persone che la compongono. Amiamo tanto l’Eucaristia che se il sacerdote è noioso nel predicare o il coro canta male ci arrabbiamo con loro, ci deconcentriamo e ci offendiamo perché servono male una cosa così sublime e che amiamo tanto.
Amiamo più le persone o l’istituzione? Non parliamo neanche della nostra comunità – non quando c’è qualcuno che non viene visto come uguale a noi per via dei tatuaggi, dei piercing o del colore di capelli strano, ma perché ha idee politiche diverse, idee pastorali contrarie alle nostre, idee liturgiche più progressiste. Chi amiamo di più? Questo nuovo prossimo che si integra nella nostra comunità pieno di vigore ed energia o le nostre tradizioni che si costruiscono da anni e che non siamo disposti a cambiare? Torniamo all’inizio, è un comandamento nuovo per bocca di Gesù stesso.
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“Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”(Marco 9, 35)
È bello essere riconosciuti, fa piacere che la gente veda che facciamo bene le cose e ce lo faccia sapere pubblicamente. È soddisfacente godere dei benefici del fatto di essere tra i primi e più avvantaggiati, ma a cosa serve essere i primi e stare da soli? Voler sempre spiccare ci isola inevitabilmente dal resto, ci emargina e ci fa cadere in un peccato gigantesco, simile a quello in cui è caduto Satana: credersi il migliore e non vedere nulla di buono negli altri.
Sentire che facciamo tutto bene prima o poi ci farà sentire superiori e ci farà vedere gli altri dall’altezza del nostro ego, rendendoci molto difficile il compito di riconoscere le virtù altrui e soprattutto facendo sì che ci sia molto difficile amare gli altri. Attenzione alla cultura del merito. Gesù ci ha insegnato la cultura della gratuità, in cui siamo amati indipendentemente dai nostri successi. Siamo degni di essere amati, curati e riconosciuti solo per il fatto di essere figli di Dio.
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Come abbiamo già detto in varie occasioni, lottare contro i peccati di impurità non è facile. La maggior parte delle volte è meglio fuggire. Il piacere non è negativo, ma la sua ricerca disordinata può arrecarci un grave danno. Quante volte consentiamo cadute nell’impurità perché pensiamo solo a noi stessi, a quello che ci piace e a quello che vogliamo al momento! La lotta più grande consiste nel far sì che Dio occupi sempre più spazio nella nostra vita perché possiamo essere forti ed eliminare le abitudini che ci allontanano dalla castità. La meta non è mai essere tentati, ma resistere con forza alla tentazione con l’aiuto della grazia di Dio.
“Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5, 27-28).
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Non c’è nulla di più dannoso per noi e per chi ci circonda e nulla che ci allontani di più dalla volontà di Dio che permetterci emozioni e sentimenti negativi. Nessuno ci dice che non li avremo, ma spesso li permettiamo e facciamo cose per fomentare queste emozioni: pubblichiamo sulle nostre reti sociali post su quanto stiamo male, cercando compassione; navighiamo su YouTube cercando canzoni malinconiche che non fanno altro che immergerci nel nostro scoraggiamento e rendere più difficile uscirne. Non sarebbe un vero problema se vivessimo in un mondo di solitudine, ma la verità è che ci relazioniamo con altri, ed è probabile che stando così, scoraggiati e con sentimenti negativi, le nostre risposte di fronte agli altri non siano le più adeguate. Anche le nostre risposte davanti a Dio possono essere completamente diverse. Un umile consiglio: non prendete mai decisioni quando siete in un momento di stato d’animo negativo. Cercate di uscirne rapidamente, di aggrapparvi alla speranza che ci offre la fede e di abbracciare le promesse di Dio, che prima o poi finiscono per realizzarsi. Aprire le porte del vostro cuore a quei sentimenti amari, in definitiva, è aprire le porte al demonio e chiuderle a Dio. Coraggio!
“Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili” (papa Francesco, Domenica delle Palme 2013).
Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/Sebastian Campos)
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