1981: Giovanni Paolo II guarda verso Oriente

Dal 16 al 27 febbraio 1981 il papa compie un pellegrinaggio apostolico in Medio Oriente, durante il quale fa tappa in Pakistan. Arrivato all’aeroporto di Karachi il papa esprime la sua soddisfazione nel vedere l’ “armonia” che caratterizza la collaborazione tra la Chiesa cattolica e il governo pakistano nell’affrontare problemi comuni come quello dei rifugiati. Rivolgendosi ai politici, il papa assicura che “la Chiesa intende continuare a collaborare su questa linea compatibilmente con i mezzi limitati di cui dispone”.  Il Pontefice rimane in Pakistan solo un giorno.  Durante la Celebrazione della Messa, rivolgendosi ai fedeli, disse: “Come seguaci di Cristo, non disprezziamo le buone cose della terra, perché sappiamo che sono state create da Dio che è fonte di ogni bene. Ne cerchiamo di ignorare la necessità del pane, il grande bisogno di cibo di tante persone in tutto il mondo, anche nelle vostre terre. Se infatti cercassimo di ignorare queste esigenze fondamentali dei nostri fratelli e sorelle che vediamo, come potremmo sostenere di amare Dio che non vediamo? (cf. 1Gv 4,20). Eppure rimane vera la parola che “l’uomo non vive soltanto di pane”. La persona umana ha una necessità che è ancora più profonda, una fame che è ancora maggiore di quella che il pane può soddisfare; è la fame del cuore umano per l’immensità di Dio. È una fame che può essere soddisfatta soltanto da Colui che disse: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6,53-55). Cristo è il solo che può soddisfare la più profonda fame del cuore umano. Perché Egli solo è sorgente di vita. Come ha scritto san Paolo: “tutto fu creato per mezzo di Lui e per Lui. Egli è prima di tutte le cose e tiene insieme tutto l’universo” (Col 1,16-17). In Cristo la morte ha perso il suo potere, alla morte è stato tolto il suo pungolo, la morte è stata sconfitta. Questa verità della nostra fede può apparire paradossale, perché vediamo attorno a noi ancora tante persone spaventate dalla certezza della morte e sconcertate dal tormento del dolore. Il dolore e la morte pesano infatti sullo spirito umano e restano un enigma per coloro che non credono in Dio. Ma nella fede noi sappiamo che saranno superati, che sono stati vinti nella morte e resurrezione di Gesù Cristo nostro Redentore. È proprio questo che noi commemoriamo quando ci riuniamo nel nome della Santissima Trinità; è questo che celebriamo ogni qualvolta ci riuniamo per il Sacrificio Eucaristico: noi proclamiamo la morte del Signore finché Egli venga nella gloria (cf. 1Cor 11,26); noi dichiariamo con una sola voce che Gesù Cristo è il Signore dei vivi e dei morti, che è la via e la verità e la vita (cf. Gv 14,6), che Gesù Cristo è il pane vivo che è stato dato per la vita del mondo (cf. Gv 6,51)”. 

Alla partenza spiegò il suo impegno nel riuscire a “incontrare i membri delle comunità cristiane locali di tutto il mondo, per comprendere meglio loro e le loro necessità e soprattutto per incoraggiarli nella pratica della fede cristiana”. Il papa conclude la sua visita incoraggiando cattolici e musulmani del Pakistan al dialogo e alla comprensione reciproca sulla base di alcuni tratti comuni: “la fede in un unico Dio onnipotente, l’importanza data alla preghiera, all’elemosina e al digiuno”.

Dopo la tappa pakistana, il Santo Padre, toccò la terra delle Filippine. L’entusiasmo dei fedeli commosse profondamente Giovanni Paolo II. In questa nazione sistemata ai confini con l’Oriente, si trovano il maggior numero di cattolici. Come sempre l’agenda della visita fù molto fitta ed intensa. I vari incontri con le diverse realtà ecclesiali, civili e culturali delle Filippine, diede un’impulso significativo alla vita di fede, chiedendo ai pastori e fedeli, di essere autentici testimoni del Signore Risorto: “Questa proclamazione di Gesù Cristo e della salvezza nel suo nome è il fondamento di tutto il servizio pastorale. È il contenuto di tutta l’evangelizzazione e di tutta la catechesi. È un vostro merito farlo in unione con il successore di Pietro e con tutta la Chiesa. Dev’essere sempre così. La vostra unità con la Chiesa universale e l’autenticazione di tutte le vostre iniziative pastorali è la garanzia della loro efficacia soprannaturale. Questa unità era realmente la preoccupazione che spingeva san Paolo a consigliarsi affinché “non si trovasse nel rischio di correre e di aver corso invano” (Gal 2,2). Rendo grazie a Dio oggi per la vostra unità cattolica e per la forza che essa vi dà.  Fortificati dalla parola di Cristo e rafforzati nell’unità della sua Chiesa, siete in grado di adempiere efficacemente al vostro ministero pastorale ad imitazione di Gesù Buon Pastore. Voglio ripetere oggi il suggerimento che san Paolo ricevette nella sua consultazione. “Soltanto ci pregarono di ricordarsi dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare” (Gal 2,10). Questa potrebbe essere la caratteristica anche del vostro ministero: la preoccupazione per i poveri, per coloro che sono materialmente o spiritualmente nel bisogno. Il vostro amore pastorale abbraccerà dunque coloro che sono nell’indigenza, nell’afflizione, nel peccato”.  Durante la Visita, procedette alla beatificazione di Lorenzo Ruiz. Incontrò i poveri, gli studenti, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i proprietari e gli operai delle piantagioni da canna da zucchero, e le comunità cattoliche cinesi presenti nelle Filippine.  Non macò la visita al campo profughi e il saluto ad un gruppo di lebbrosi. In campo ecumenico rivolse un saluto presso la Nunziatura ai rappresentanti delle altre Chiese cristiane.

La tappa in Giappone fù altrettanto significativa.  Il 25 Febbraio al Peace Memorial di Hiroshima, città simbolo della guerra, lanciò un accorato appello per la pace: “La guerra è opera dell’uomo. La guerra è distruzione della vita umana. La guerra è morte. In nessun luogo queste verità si impongono con così tanto vigore come in questa città di Hiroshima, presso questo Monumento alla Pace. Due città, avranno per sempre i loro nomi uniti, due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki, come le sole città al mondo che hanno subito la cattiva sorte di essere un memoriale di come l’uomo sia capace di una distruzione incredibile. I loro nomi si distingueranno sempre come i nomi delle sole città del nostro tempo che sono state scelte per mettere in guardia le generazioni future su come la guerra possa distruggere gli sforzi umani intesi a creare un mondo di pace. È con profonda emozione che sono venuto oggi qui come pellegrino di pace. Desideravo rendere questa visita al Monumento alla Pace di Hiroshima per una personale ed intima convinzione che ricordare il passato e impegnarsi per il futuro. Consideriamo insieme quella che è una delle tristi imprese dell’umanità e cioè che su tutta la superficie terrestre i nomi di molti – troppi – luoghi vengono ricordati soprattutto perché hanno testimoniato l’orrore e la sofferenza prodotti dalla guerra; i monumenti ai caduti che, se da un lato ricordano la vittoria, dall’altro rammentano però anche la sofferenza e la morte di innumerevoli esseri umani; i cimiteri in cui riposano coloro che hanno sacrificato la loro vita al servizio del proprio Paese o di una nobile causa ed i cimiteri in cui giacciono le innocenti vittime civili della furia distruttrice della guerra; i resti dei campi di concentramento e sterminio in cui il disprezzo per l’uomo e per i suoi diritti inviolabili aveva raggiunto la sua espressione più indegna e crudele; i campi di battaglia in cui la natura ha misericordiosamente sanato la ferite della terra, senza riuscire tuttavia a cancellare dalla storia umana del passato l’odio e l’inimicizia. Hiroshima e Nagasaki si distinguono da tutti gli altri luoghi e monumenti come le prime vittime della guerra nucleare. Chino il capo al ricordo di migliaia di uomini, donne e bambini che persero la vita in un momento terribile e di chi per lunghi anni ha riportato nel corpo e nella mente quei germi di morte che inesorabilmente portarono avanti il loro processo di distruzione. Il bilancio definitivo della sofferenza umana iniziata qui, non è stato ancora interamente steso né è stato ancora calcolato il costo umano complessivo che è stato pagato, soprattutto se si considera ciò che la guerra nucleare ha arrecato – e potrebbe ancora arrecare – alle nostre idee, ai nostri atteggiamenti ed alla nostra civiltà”.

I viaggi italiani furono: Collevalenza, Todi e Orvieto, Bergamo e Terni, dove tenne un discorso molto significativo per gli operai: “Una risposta non è facile, ci sono precise competenze. Ma, in linea di principio, da un punto di vista sociale ed etico insieme, come la Chiesa ha professato apertamente almeno dai tempi di Leone XIII, i lavoratori sono quelli che fanno l’industria, l’elemento principale del lavoro. Non sono uno strumento ma, appunto, la ragione principale di ogni industria, di ogni produzione. Perché? Perché sono uomini, persone, non strumenti come le macchine. Attori della produzione e così, essendo il motivo principale della produzione dei beni, essi hanno certamente anche diritto al frutto del lavoro. Che vuol dire soprattutto salario giusto, ma anche una certa partecipazione nella gestione della fabbrica e una partecipazione ai redditi, dico bene? Dovrei prendere un vocabolario per studiare i termini tecnici, specie per quel che riguarda ciò che si produce nella vostra fabbrica, parole per voi di uso quotidiano ma non per me. Ma il principio è chiaro. E poi, sono anche contento di quel che ho sentito sulla lotta e soprattutto sulle caratteristiche di questa lotta. Io, come Pastore della Chiesa devo dire: “lotta per la giustizia” certamente, ma bisogna stare attenti che questa lotta per la giustizia non si trasformi in una lotta contro le persone, i gruppi. “Lotta per la giustizia” dunque che caratterizza la classe operaia. Da qualche tempo, una sensibilità maggiore si è formata per la giustizia e per la lotta che a questa giustizia e legata. Essa trova riscontro nel Vangelo e l’insegnamento della Chiesa non può essere diverso. La Chiesa vuole un mondo giusto, sempre più giusto. E tutti coloro che partecipano a questo sforzo sono in sintonia con il Vangelo e con la dottrina cristiana”.

Nel corso del 1981, Giovanni Paolo II, tenne 62 tra preghiera dell’Angelus e Regina Coeli. Mentre le Udienze Generali del Mercoledì furono: 29. Dal 13 Maggio 1981 al 07 Ottobre 1981, le Udienze furono interrotte a causa dell’attentato contro il Papa, avvenuto in Piazza San Pietro. Prima dell’udienza generale del 13 maggio, Giovanni Paolo II viene ferito in piazza San Pietro, mentre compie sulla campagnola bianca il consueto giro per rispondere al caloroso saluto dei fedeli e dei pellegrini. Alle 17.19 il Papa resta vittima di un attentato perpetrato da un giovane turco di nome Agca. Nel corso dell’udienza generale il Santo Padre aveva in animo di proporre alle migliaia di fedeli presenti un tema a lui e alla Chiesa assai caro e vicino: quello del lavoro e dei lavoratori in occasione del 90° anniversario della pubblicazione della “Rerum Novarum”, la grande enciclica di Leone XIII. Pubblichiamo qui di seguito il testo del discorso che Giovanni Paolo avrebbe rivolto ai fedeli. di DonSa

Attentato contro Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, 13 Maggio 1981.

Di seguito nel link, troverete le parole che non furono mai pronunciate a causa del vile attentato: http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1981/documents/hf_jp-ii_aud_19810513_it.html

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