Rimarrà memorabile, il viaggio in Senegal di Giovanni Paolo II nel lontano 22 febbraio 1992 all’Isola della Gorée, uno dei luoghi simboli dopo furono deportati milioni di sorelle e fratelli africani da parte dei negrieri europei con la complicità di capi locali. Gli schiavi africani dell’orrendo mercato triangolare tra l’Africa, le Americhe e l’Europa, hanno subito una sorte terribile. Papa Woityla mostrò un profondo senso di rispetto, di commozione e di attenzione nei confronti di coloro che sono stati venduti per salvaguardare il vantaggio economico di pochi furbi e maldestri. Giovanni Paolo II, chiese pubblicamente scusa all’Africa, alle sue figlie e ai suoi figli di cui pochi sono giunti sulle coste atlantiche delle Americhe, lanciando un accorato appello al mondo intero a praticare il rispetto dei popoli, della loro dignità seppur in condizione di povertà. Dichiarò immorale la svendita delle persone a sostegno di un economia disumana e selvaggia. Ci fu in quel febbraio 1992 una grande attenzione a quello che avveniva, non solo nel bellissimo ed appassionato discorso pronunciato nell’Ile di Goréé, ma anche nei dettagli dei suoi gesti: stavano significando pace, riconciliazione, destino comune, attenzione all’uomo, alla cultura e alla spiritualità altrui, soprattutto a quella africana. Giovanni Paolo II s’inginocchiò penitente nel luogo da cui partivano incatenati milioni di schiavi, a bordo di bastimenti negrieri, per essere deportati oltreoceano. La visita papale, in quel santuario dell’umanità dolente, avvenne nel quinto centenario della cristianizzazione delle Americhe. Si tratta di uno dei primi mea culpa pronunciati da Papa Wojtyla: un gesto di straordinaria umanità che spiazzò tutti. I giornalisti al seguito cronometrano scrupolosamente il tempo di quella genuflessione: sette interminabili minuti in cui il Pontefice rimase immobile, col capo riverso, raccolto in silenziosa preghiera. Alzandosi, pronunciò poche parole: “Queste generazioni di negri, di schiavi mi fa pensare che Gesù Cristo si è voluto rendere schiavo, che è diventato un servitore. Egli ha portato la luce della rivelazione di Dio nella schiavitù. La rivelazione di Dio che vuol dire “Dio-amore”. Qui si vede soprattutto l’ingiustizia. È un dramma della civiltà che si diceva cristiana. Il grande filosofo antico Socrate diceva che quelli che subiscono l’ingiustizia si trovano in una situazione migliore di quelli che ne sono causa. È l’altro lato della realtà dell’ingiustizia vissuta in questo luogo. È un dramma umano: il grido delle generazioni, esige che noi ci liberiamo per sempre da questo dramma, perché le sue radici sono in noi, nella natura umana, nel peccato. Sono venuto per rendere omaggio a tutte le vittime sconosciute. Non si sa esattamente quante sono state. Non si sa esattamente chi sono state. Purtroppo, la nostra civiltà che si diceva e che si dice cristiana, è tornata per un momento, anche durante il nostro secolo, alla pratica della schiavitù. Sappiamo cosa furono i campi di sterminio. Qui ce ne è un modello. Non possiamo immergerci nella tragedia della nostra civiltà della nostra debolezza, del peccato. Dobbiamo rimanere fedeli a un altro grido, quello di San Paolo che ha detto: “Ubi abundavit peccatum, superabundavit gratia”.
Viaggi Apostolici di Giovanni Paolo II del 1992:
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Dal 09 al 15 Ottobre 1992, Giovanni Paolo II si reca in visita pastorale a Santo Domingo per commemorare il V Centenario dell’Evangelizzazione del Continente Americano. Il card. Nicolás de Jesús López Rodríguez, arcivescovo di Santo Domingo e presidente del CELAM, il Consiglio Episcopale Latino-Americano, nell’indirizzo di omaggio al Santo Padre Giovanni Paolo II all’inizio della Messa per la Commemorazione del V Centenario, celebrata dal Sommo Pontefice appunto a Santo Domingo l’11 ottobre 1992, ribadì: “[…] che il proposito evangelizzatore fu uno dei più chiaramente definiti dai sovrani cattolici, soprattutto dalla grande regina Isabella che, donna eccezionale e di fede molto profonda, sentiva l’obbligo di far giungere il messaggio del Vangelo agli abitanti di queste terre, da essa considerati come figli e non soltanto come vassalli”. Durante la Celebrazione della Messa, rivolgendosi al popolo disse: “La commemorazione del V Centenario dell’inizio dell’Evangelizzazione del Nuovo Mondo, è un grande giorno per la Chiesa. Quale Successore dell’Apostolo Pietro ho la gioia di celebrare questa Eucaristia insieme ai miei fratelli Vescovi di tutta l’America Latina, così come i membri di altri Episcopati invitati, in questa terra benedetta, che cinquecento anni fa, ricevette Cristo, luce delle nazioni, e fu caratterizzata dal segno della Croce Salvifica. Da Santo Domingo desidero far giungere a tutti gli amatissimi figli d’America il mio appassionato saluto con le parole dell’Apostolo San Paolo: “Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (Gal 1, 3). Nel commemorare il 12 di ottobre del 1492, una delle date più importanti nella storia dell’umanità, il mio pensiero e il mio affetto si rivolgono a tutte e a ognuna delle Chiese particolari del continente americano. Che nonostante la distanza giunga a tutti la mia voce e la vicinanza della mia presenza. Voce che abbraccia nel Signore le Chiese nel Cono Sud: Cile e Argentina, Uruguay e Paraguay. Voce di fraterno amore in Cristo per la Chiesa in Brasile, per le Chiese dei Paesi andini: Bolivia e Perù, Ecuador e Colombia. Voce di affettuosa comunione nella fede per la Chiesa in Venezuela, nel Suriname, nelle Antille, nella Repubblica Dominicana e a Haiti, a Cuba, in Giamaica e Porto Rico. Voce di pace nel Signore per le Chiese dell’America Centrale e di Panama, del Messico e dell’America del Nord. E quale maggior onore per l’America se non quello di poter presentare tutti quei testimoni di santità che durante questi cinque secoli hanno reso vivo nel Nuovo Mondo il messaggio di Gesù Cristo? Lì si trova quell’ammirevole moltitudine di santi e beati che adornano quasi tutto il territorio americano e le cui vite rappresentano i più maturi frutti dell’Evangelizzazione e sono modello e fonte di ispirazione per i nuovi evangelizzatori. In questa cornice di santità si colloca la presente canonizzazione del beato Ezequiel Moreno, che nella sua vita e nella sua opera apostolica ha riassunto mirabilmente gli elementi centrali della ricorrenza che celebriamo. In effetti, nella rilettura della sua santa vita, così come dei meriti e delle grazie celestiali di cui il Signore volle onorarlo – che abbiamo appena ascoltato nella richiesta ufficiale della sua canonizzazione – la Spagna, le Filippine e l’America Latina appaiono come i luoghi nei quali questo figlio insigne dell’Ordine degli Agostiniani Recolletti svolse la sua instancabile attività missionaria. Come Vescovo di Pasto, in Colombia, si sentì particolarmente spinto dal fervore apostolico che, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura di questa celebrazione liturgica, fa esclamare a San Paolo: “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere senza averne prima sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?” (Rm 10, 14)”. In ultima analisi i viaggi internazionali compiuti da Giovanni Paolo II nel 1992, hanno avuto come obiettivo il rinnovamento dell’annuncio del Vangelo nella prospettiva penitenziale espressa nella casa degli schiavi in Senegal. Dalle terre africane molti sono partiti senza mai più rivedere e toccare terra. Tanti altri hanno subito la schiavitù, approdando nelle coste di Santo Domingo. Non possiamo tacere il consenso che tanti cristiani hanno dato alla terribile tratta umana di quel tempo. Le visite pastorali in Italia ebbero come meta: Sorrento, Castellammare di Stabia, Friuli Venezia Giulia, Nola, Caserta e Capua ed infine la Lombardia. diGiovanni Profeta