Il 1997 verrà ricordato dalla storia come l’anno dei viaggi impossibili. Giovanni Paolo II insiste per recarsi in visita nella martoriata Sarajevo, città simbolo di una cultura in conflitto. Accattoli ci relaga una bellissima descrizione di quel viaggio: “Oggi pomeriggio Papa Wojtyla parte per Sarajevo, dove stara’ poco piu’ di 24 ore: terra’ sette discorsi, incoraggera’ la martoriata comunita’ cattolica, incontrera’ le diverse comunita’ religiose. Un viaggio difficile, con qualche incognita per la sicurezza e tanta incertezza sull’accoglienza che potra’ avere il messaggio del Pontefice. Giovanni Paolo II va a predicare la convivenza e il perdono, dopo tanta guerra. Ma piu’ che mai, stavolta, l’impressione e’ che vada a predicare nel deserto. Voleva andarci, il Papa a Sarajevo, nel settembre del 1994: cioe’ nel pieno della guerra. Voleva andare a fermare la guerra. Va ora che non si spara piu’, ma “sappiamo molto bene che la guerra non e’ finita”, come ha detto ultimamente il vescovo ausiliare di Sarajevo, Pero Sudar. Wojtyla, dunque, va a parlare di pace in un luogo che e’ ancora di guerra, benche’ al momento non si combatta. Il suo invito di sempre – che era scritto nei discorsi preparati per la mancata visita del 1994 e che certamente ripetera’ in questa occasione – a mantenere l’unita’ della Bosnia – Erzegovina, e a farne la patria comune dei tre popoli che la compongono, pare che oggi non sia condiviso neanche dalla comunita’ cattolica. Ma sappiamo che Giovanni Paolo non si spaventa davanti alle difficolta’. Il Papa sa che le sue parole saranno pesate con almeno tre bilance diverse e con aspettative lontane dallo spirito con cui si appresta a pronunciarle. Nell’ultima settimana ha invitato almeno quattro volte i suoi ascoltatori a pregare per questo viaggio, mostrandosi consapevole che non va certo a celebrare la pace. Mercoledi’ ha detto che va a “confermare nella fede i fratelli e le sorelle di quella citta’ diventata, in un certo senso, un triste simbolo delle tragedie che hanno colpito l’Europa nel Ventesimo Secolo”. E sempre mercoledi’ ha mostrato di sapere bene che la’, a Sarajevo, non c’e’ ancora una vera pace, quando ha detto che questa visita vuol essere “anche un viaggio di pace, nel quale sia testimoniata la solidarieta’ della Chiesa con gli uomini e i popoli sofferenti”. La difficolta’ della situazione dovrebbe apparire chiara fin dall’aeroporto, dove sembra che non vi sara’, ad accogliere il Papa, il membro serbo della Presidenza. Ma in Vaticano ieri dicevano che nulla e’ ancora definitivo. Comunque, i tre esponenti della Presidenza collegiale al completo incontreranno Wojtyla domani mattina al Museo nazionale, prima della messa allo stadio. Altro momento cruciale sara’ l’incontro di domani pomeriggio, in arcivescovado, con le varie comunita’ religiose. Potrebbe essere l’occasione del messaggio piu’ significativo. Wojtyla compira’ un gesto che forse restera’ come simbolo di tutta la visita: consegnera’ il “Premio internazionale della pace Giovanni XXIII” a quattro organizzazioni umanitarie: la Caritas cattolica, la Merhamet musulmana, la Dobrotvor serbo – ortodossa, la Benvolencjia ebraica. A ciascuna andra’ la somma di 50 mila dollari Usa e “un apposito diploma con espressioni d’apprezzamento per l’opera espletata nel periodo della guerra”. Conviene riportare il nucleo centrale dell’omelia tenuta nello stadio Kosevo: “Sarajevo: città divenuta un simbolo, in un certo senso il simbolo del ventesimo secolo. Nel 1914, al nome di Sarajevo venne a legarsi lo scoppio del primo conflitto mondiale. Al termine di questo stesso secolo, al nome di questa città si è unita la dolorosa esperienza della guerra che, nel corso di cinque lunghi anni, ha lasciato dietro di sé in questa regione una impressionante scia di morte e di devastazione. Durante questo periodo, il nome di questa città non ha cessato di occupare le pagine della cronaca e di essere tema di interventi politici da parte di capi delle nazioni, di strateghi e di generali. Il mondo intero ha continuato a parlare di Sarajevo in termini storici, politici, militari. Anche il Papa non ha mancato di levare la sua voce su tale tragica guerra e più volte e in diverse circostanze ha avuto sulle labbra e sempre nel cuore il nome di questa città. Già da alcuni anni egli desiderava ardentemente di poter venire di persona tra voi. Oggi finalmente il desiderio s’è avverato. Sia ringraziato il Signore! La parola con cui vi porgo il mio saluto affettuoso è la stessa che Cristo rivolse, dopo la risurrezione, ai discepoli: “Pace a voi” (Lc 24, 26). Pace a voi, uomini e donne di Sarajevo! Pace a voi, abitanti della Bosnia ed Erzegovina! Pace a voi, Fratelli e Sorelle di questa amata terra!”.
Viaggi Apostolici del 1997
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Viaggi Apostolici del 1997:
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