Ieri abbiamo celebrato la solennità di tutti i santi. Abbiamo cioè lodato Dio e lo abbiamo ringraziato per il dono di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno totalmente dedicato la loro vita a Dio e attraverso Dio all’umanità, e dal cielo continuano ad essere per noi amici, protettori, intercessori. Oggi celebriamo invece la commemorazione di tutti i nostri fratelli e sorelle defunti, i nostri cari in modo particolare. È una giornata di preghiera per le loro anime, perché Dio le accolga nella schiera dei santi in paradiso. Allo stesso tempo è una giornata che ci porta a confrontarci col grande mistero della morte
. (fr. Gian Matteo Serra, O.P.)La giornata è chiamata anche comunemente “festa dei defunti”. Nella messa quotidiana, la liturgia riserva sempre un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio.
Pertanto prega per i morti, come per i vivi, perché anche loro sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’ amore materno della Chiesa è più forte della morte. La Chiesa, inoltre, sa che «non entrerà in essa nulla di impuro». Il colore liturgico di questa commemorazione è il viola, il colore della penitenza, dell’attesa e del dolore, utilizzato anche nei funerali.
La commemorazione dei fedeli defunti risale già al secolo IX. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. È solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti. Già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio. La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti.
La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile bontà e misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio.
Il tema è ripreso con potenza espressiva dall’apostolo Paolo che colloca la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile. I discepoli sono chiamati alla medesima esperienza, anzi tutta la loro esistenza reca le stigmate del mistero pasquale, è guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo i fedeli pregano per i loro cari defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio.
Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: «Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi». Quindi, per “comunione dei santi”, la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.
Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia. Lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.
Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’ anno 928 d. C.
Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno.
Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via; persone che hanno lasciano una loro traccia nella storia e ci ha trasmesso la fede.
Secondo il Rituale Romano, «in molti modi le comunità parrocchiali esprimono questo senso della speranza cristiana. Per la commemorazione di tutti i fedeli defunti è consuetudine andare in processione al Cimitero e in tale occasione benedire le tombe. In questa o simili circostanze è opportuno promuovere una celebrazione con un apposito rito di benedizione»
Fonte famigliacristiana.it/Antonio Sanfrancesco
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