Se avessi ancora spazio per altre parole da scrivere, scriverei dei racconti della Croce Rossa e di un altro naufragio che non cito e di altri cadaveri che non enumero e di uno solo (1) che portava il giubbotto di salvataggio. Uno (1) è un numero facile da ricordare. Quanti se, vero? Ma la verità è che io, per districarmi, la data dell’articolo ho dovuto leggerla. E così sono stato sicuro che mi trovavo davanti non alla notizia di ieri ma a una notizia nuova. Che erano cadaveri nuovi.
Forse sono l’unico a correre questo pericolo, ed è vero che non ho una buona memoria e che i numeri li confondo ma – a botta di 50, 100, 200 morti ogni volta – sento l’enorme rischi di abituarmi a questa macabra pesca estiva nel Mediterraneo.
La mia verità terribile è che sto diventando insensibile e disattento di fronte a tanto dolore. Il dolore mi fa male. Ma troppo dolore mi intorpidisce l’anima e la coscienza e mi viene più facile pensare a cosa deve fare l’Europa piuttosto che a cosa devo fare io. Io non voglio abituarmi. Voglio una coscienza che sa leggere, ricordare. Una coscienza che sente il dolore e lo riconosce. Un esercizio facile facile che consiglio a tutti è quello di provare a immaginare i numeri. Avevo letto agli inizi di agosto da qualche parte che duemila morti, stesi in fila, uno accanto all’altro, coprono più di tre chilometri, e non riesci a vederne la fine.
Duemila morti sono quasi dieci al giorno per sette mesi. E, secondo le cifre diffuse dall’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, proprio negli ultimi sette mesi, nei 211 giorni che separano il 1 gennaio dal 31 luglio, oltre duemila migranti sono morti cercando di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste dell’Europa.
Proviamo a pensare a questa fila di morti. Tre km. Pensiamo a un ponte lungo tre km. Un ponte di visi, di storie, a cui aggiungere le donne, i bambini, gli uomini giovani e vecchi, che non hanno raggiunto l’Europa da luglio a stamattina e pensare che però raggiungano e raggiungeranno sempre le nostre coscienze.
Non è buonismo. Non è ingenuità.
È una questione di giustizia. Per loro e per noi.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
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