«Una mano tesa all’uomo di oggi». Monsignor Sante Babolin pensa al pontificato di Francesco, al Giubileo della misericordia e li sintetizza con queste parole. Subito dopo però, con un esempio, ricorda che per la Chiesa questa è e deve essere la normalità: «Tempo fa ho ascoltato il racconto di un uomo che per apostasia aveva avuto bisogno della dispensa della Congregazione della Dottrina della fede, all’epoca guidata da Ratzinger.
Era stato colpito dalle parole del cardinale: ‘È tornato a casa un figlio: il Signore fa festa’. Ecco – sottolinea Babolin col volto disteso e la voce serena che lo caratterizzano –, troppo spesso questo la gente non lo sa». Don Sante è stato docente di Filosofia della Gregoriana e ormai da 9 anni è esorcista della diocesi di Padova, un servizio che lo pone costantemente a contatto con la forza redentrice del perdono, capace di rivoluzionare alla radice la vita delle persone.
Ma il figliol prodigo prima di tornare dal padre fa un esame di coscienza, prova pentimento, parte con l’idea di cambiare vita e chiede perdono…
«Il ‘pentitevi e cambiate vita’ è una costante della Scrittura. La remissione dei peccati è legata al pentimento. E il confessore non chiede, come molti pensano, di fare penitenza per i peccati, ma di tradurre la confessione in strategia di cambiamento».
Insomma, la confessione non è un toccasana.
«Il cambiamento richiede un’intera vita. Ci convertiamo ogni giorno. Da qui l’insistenza della Chiesa, fin dalla Lettera agli Ebrei, nel chiedere di non disertare l’assemblea eucaristica…».
Cosa c’entra la Messa?
«Nell’Eucarestia ci sono due ‘comunioni’: con la Parola e col Corpo del Signore. È la Parola che mi abilita a mangiare il Corpo. È la liturgia della Parola che, accogliendola, ogni volta mi registra, mi fa vedere cosa devo cambiare nella mia vita. Se mi nutro del Corpo senza Parola faccio dell’Eucare- stia un rito magico, come se assumessi qualcosa che mi cambia indipendentemente da me».
Ma confessione è anche perdono.
«Anche il perdono cambia la vita se è accompagnato da un cambiamento. Perdonare è risanare le relazioni. E allora non posso fare a meno di chiedermi quali sono le relazioni personali che devo rivedere. Questo esige una certa flessibilità mentale per esercitare l’accoglienza, per far ripartire la relazione. Questa è la misericordia».
Una parola fondamentale per la nostra fede: nella Bibbia compare 145 volte.
«Ed è interessante vedere che con la parola misericordia si traducono più vocaboli dal greco antico e dall’ebraico. Per esempio l’ebraico
rehamîm che letteralmente significa ‘viscere’ ed esprime un amore viscerale, e in greco viene reso sia con oiktirmòs sia con splanchna:
che significa anche utero e compare per esempio nel Cantico di Zaccaria: ‘Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio’. Quindi Dio ama in maniera uterina, come una madre, e il suo amore genera vita. Nathan André Chouraqui, un filosofo e teologo ebreo ha tradotto in francese il ‘Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre mio’ di Luca 6 con la parolamatriciel, dal latino mater che indica l’utero: ‘Siate materni, viscerali, come è materno, viscerale il Padre mio’. Ripeto, dietro a tutto questo c’è l’idea che la misericordia è un amore che genera vita».
Cioè risanare le relazioni significa ridare vita?
«Attraverso il perdono le relazioni si rivitalizzano.
In questo senso la misericordia rivitalizza la Chiesa. Un ragionamento che ci porta a concludere che la confessione deve essere intesa come il sacramento che ridona la vita. Il confessore non accusa. Non è uno che emette la sentenza per poi offrire il condono. Il confessore deve invece avere un cuore di madre. E la gente capisce se questo accade; allora non si sente giudicata, ma accolta».
Qui si pone il problema dei confessori…
«Il confessore deve saper ascoltare. Bisogna dedicare molto tempo all’ascolto, anche fuori dalla confessione. Quando uno parla dei suoi problemi ha già in mano la soluzione. Il compito del prete è dare qualche suggerimento affinché dal riconoscimento dei propri errori nasca un cammino di resurrezione. Deriva da qui la continua attenzione a non accusare. L’accusa viene dal demonio. Lo Spirito Santo è invece consolatore, il Paraclito che ci sta accanto e ci guida».
Come esorcista lei confessa?
«Non ascolto le confessioni delle persone che accompagno, perché lavoro in collaborazione con uno psichiatra e non posso mettere sotto sigillo del sacramento quello che mi viene detto. Le invito però ad avvicinarsi alla confessione. Anzi le preparo con un cammino di liberazione, perché ho visto che se c’è adeguata preparazione, quando si confessano, in loro cambia davvero qualcosa».
Cosa intende per cammino di liberazione?
«Delle persone che vengono da me perché sentono di avere problemi col Maligno, solo un 2% ha davvero bisogno di esorcismo. Agli altri, che subiscono e soffrono in vario modo di ‘interferenze’ diaboliche, propongo un cammino di liberazione. Di solito si tratta di sei incontri in cui espongo il cuore della fede cristiana. Così ‘illuminate’ queste persone conoscono pienamente la loro situazione e sono in grado di compiere una scelta di campo. Allora dico loro: fate un attento esame di coscienza e confessatevi. Solo dopo offro il rito di liberazione vero e proprio col quale ognuno si dichiara davanti al crocifisso e si consegna liberamente e pienamente alla misericordia di Gesù».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Roberto I. Zanini)
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