Mentre spingevo il cancello di ferro del convento io ero ateo. L’ateismo assume molte forme. C’è un ateismo filosofico che assimila Dio alla natura, rifiuta di attribuirgli una personalità propria e cerca ogni soluzione nell’intelligenza umana; niente è Dio, tutto è divino.
L’ateismo scientifico scarta l’ipotesi di Dio e tenta di spiegare il mondo con le sole proprietà della materia di cui non ci si deve chiedere l’origine.
L’ateismo marxista è ancora più radicale: non si limita a negare Dio, ma, se per caso si facesse vivo, lo metterebbe alla porta, poiché la sua presenza inopportuna sarebbe d’ostacolo al libero gioco della volontà umana. Esiste anche un genere di ateismo largamente diffuso, che io conosco bene perché era il mio: l’ateismo stupido.
Questo ateismo non si pone domande. Trova naturale stare una palla di fuoco ricoperta da un sottile involucro fango secco, che ruota a velocità supersonica su se stessa e intorno a una sorta di bomba a idrogeno, trascinata nel movimento rotatorio di miliardi di lampioncini la cui origine è un enigma e la cui destinazione è ignota. Mentre varcavo quella porta ero l’ateo che ho descritto, lo ero ancora all’interno della cappella. Nel gruppo dei fedeli, in controluce, vedevo solo delle ombre, tra cui non riuscivo a distinguere il mio amico; una sorta di sole splendeva in fondo all’edificio: non sapevo che fosse il Santissimo Sacramento.
Nessuna pena d’amore mi tormentava, anzi, quella sera dovevo avere un incontro con una nuova fiamma. Non ero preoccupato, non ero curioso. La religione era una vecchia chimera, i cristiani una specie attardata lungo il cammino dell’evoluzione: la storia si era pronunciata per noi, per la sinistra, e il problema di Dio era stato risolto in senso negativo da almeno due o tre secoli. Nel nostro ambiente, la religione sembrava talmente superata che eravamo anticlericali solo in campagna elettorale. E’ allora che è accaduto l’imprevedibile. In seguito, si è voluto a ogni costo farmi ammettere che la fede operava in me fin dall’inizio, che vi ero preparato a mia insaputa, che la mia conversione è stata solo la presa di coscienza repentina di una disposizione mentale che da molto tempo mi destinava a credere. E’ un errore.
Se c’era una predisposizione in me, era proprio all’ironia nei confronti della religione e se una sola parola poteva definire la mia disposizione mentale, il termine più adatto era indifferenza. Lo vedo ancora oggi, il ragazzo di vent’anni che ero allora, non ho dimenticato lo stupore che si impadronì di lui quando, dal fondo di quella cappella, priva di particolare bellezza, vide sorgere all’improvviso davanti a sé un mondo, un altro mondo di splendore insopportabile, di densità pazzesca, la cui luce rivelava e nascondeva a un tempo la presenza di Dio, di quel Dio, di cui, un istante prima, avrebbe giurato che mai era esistito se non nell’immaginazione degli uomini; nello stesso tempo era sommerso da un’onda, da cui dilagavano insieme gioia e dolcezza, un flutto la cui potenza spezzava il cuore e di cui mai ha perso il ricordo, nemmeno nei momenti più cupi di una vita investita più di una volta dall’orrore e dalla disgrazia; non ha altro compito, da allora, che quello di rendere testimonianza a questa dolcezza e a questa straziante purezza di Dio che quel giorno gli ha mostrato per contrasto di che fango era fatto.
Mi chiedete chi sono? Posso rispondervi: sono un composto alquanto torbido, intriso di nulla, di tenebre e di peccato, che per una forma insinuante di vanità potrebbe attribuirsi più tenebre di quanto sia possibile contenere e più peccati di quanto sia possibile commettere; per contro, la mia parte di nulla è indiscutibile, è la mia sola ricchezza, lo so, è come un vuoto infinito offerto all’infinita generosità di Dio. Questa luce, non l’ho vista con gli occhi del corpo, poiché non era quella che ci rischiara o ci abbronza: era una luce spirituale, cioè una luce maestra, era quasi la verità allo stato incandescente. Ha definitivamente capovolto l’ordine abituale delle cose. Potrei addirittura dire che, da quando l’ho intravista, per me non esiste che Dio e tutto il resto non è che un’ipotesi. Mi hanno detto tante volte: ” Dov’è finito il suo libero arbitrio? Sembra proprio che di lei si possa fare quel che si vuole. Suo padre è socialista, e lei diventa socialista. Entra in una chiesa, e diventa cristiano. Se fosse entrato in una pagoda, sarebbe buddista e se fosse entrato in una moschea sarebbe musulmano “. Al che mi permetto talvolta di rispondere che mi succede di uscire da una stazione senza per questo essere un treno.
Quanto al mio libero arbitrio posso affermare di averne disposto soltanto dopo la mia conversione, quando ho capito che solo Dio era in grado di salvarci da tutte le forme di asservimento a cui, senza di lui, saremmo inesorabilmente condannati. Insisto. Fu un’esperienza oggettiva, fu quasi un esperimento di fisica, e io non ho da trasmettervi niente di più prezioso di questo messaggio: al di là, o meglio attraverso il mondo che ci circonda e di cui facciamo parte, esiste un’altra realtà, infinitamente più concreta di quella a cui generalmente facciamo credito, e questa realtà è quella definitiva, dinanzi alla quale non ci sono più domande.
(da A. Frossard, Dio. Le domande dell’uomo, Piemme)
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