23 anni fa la strage di via D’Amelio, l’Italia ricorda Paolo Borsellino

Erano le 16 e 58 del 19 luglio di 23 anni fa quando un’autobomba nel centro di Palermo uccise il magistrato e 5 agenti della sua scorta. Una strage ancora oggi senza colpevoli

19 luglio 2015 – Ad oltre 20 anni di distanza dal giorno in cui Cosa Nostra uccise il giudice Paolo Borsellino, ad appena poche settimane di distanza dall’omicidio dell’amico e collega Giovanni Falcone, la strage di Via d’Amelio è ancora avvolta dal mistero. Depistaggi, pentiti taroccati, investigatori infedeli, servizi segreti hanno infatti inquinato la scena del delitto e, negli anni, i vari processi che si sono susseguiti. In attesa e nella speranza di arrivare a far luce su una delle pagine più buie della storia recente del nostro Paese, l’Italia ricorda il giudice assassinato con una serie di iniziative.

La strage
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via d’Amelio, dove viveva sua madre. Lì, una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre del giudice, esplose al passaggio del magistrato uccidendo, oltre Borsellino, anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.

Cinque giorni dopo, il 24 luglio, circa diecimila persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato; la moglie Agnese Borsellino accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L’orazione funebre fu pronnunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che diresse l’ufficio di Falcone e Borsellino: “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”.

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un’intervista televisiva, Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte”. Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, “Non c’è più speranza…”, intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che “Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.

A cura di Redazione Papaboys 

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