LEGGI: Qui tutta la vita di San Paolo
La festa liturgica della “conversiti sancti Pauli”, che appare già nel VI secolo, è propria della Chiesa latina. Poiché il martirio del santo viene commemorato a Giugno, la celebrazione odierna offre l’opportunità di considerare da vicino meglio la figura poliedrica dell’Apostolo per eccellenza, che scrisse di se stesso: “Io ho lavorato più di tutti gli altri apostoli“.
Inoltre, scrisse: “io sono il minimo fra gli apostoli, un aborto, indegno anche d’essere chiamato apostolo“
Convertirsi, ovvero, secondo l’etimologia, è invertire la direzione. Eppure san Paolo, in cammino tra Gerusalemme e Damasco alla caccia dei cristiani, che considerava eretici, non è tornato indietro. Una luce, una voce, l’umiliazione della caduta – gli Atti degli Apostoli narrano l’evento al capitolo 9 – e poi la cecità: Saulo divenne così un uomo nuovo. Eppure continuò sulla strada e raggiunse la sua meta, Damasco. Ma non come aveva immaginato e sperato, perché vi fu condotto come un infermo. La strada rimase quella ma gli occhi di Paolo ne vedevano una diversa, una nuova: quella vecchia lo portava verso l’odio, quella nuova verso la luce. Allora forse, convertirsi significa non tanto cambiare strada, ma “trasformare” la propria strada.
San Paolo era ebreo della tribù di Beniamino e il suo nome era Saulo. Apparteneva, come il padre, alla setta dei farisei: setta la più rigorosa, ma nello stesso tempo la più recalcitrante alla grazia di Dio.
I suoi genitori lo mandarono per tempo a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele, celebre dottore in legge. Sotto questa sapiente guida. Saulo si abituò alla più esatta osservanza della legge mosaica. Questo zelo fu quello appunto che fece di Saulo il persecutore più terribile dei primi seguaci di Gesù.
Lo vediamo nella lapidazione di Stefano custodire le vesti dei lapidatori, non potendo far altro, non avendo l’età prescritta; egli stesso però lapidava nel suo cuore, non solo Stefano, ma tutti i Cristiani, avendo in mente una sola cosa: sradicare dalle fondamenta la Chiesa di Cristo e propagare in tutto il mondo il Giudaismo.
Successivamente chiese lettere autorizzative al Sommo Sacerdote, per poter fare strage dei Cristiani rifugiatisi in Damasco. Qui però il Signore l’attendeva: qui la grazia divina doveva mostrare la sua potenza.
Eccolo sulla via di Damasco, accompagnato da arcieri, spirante furore e vendetta. Ma d’improvviso, mentre galoppa, una luce fulgida lo accieca ; una forza misteriosa lo sbalza da cavallo ed egli ode una voce dal cielo che gli grida: «Saulo, perchè mi perseguiti?».
– Chi sei tu? – risponde Saulo, meravigliato e spaventato ad un tempo.
Ed il Signore a lui:
– Io sono quel Gesù che tu perseguiti.
– Che vuoi ch’io faccia, o Signore?
– chiede Saulo interamente mutato dalla grazia.
– Va’ in Damasco, gli risponde il Signore, lì ti mostrerò la mia volontà.
Saulo si alza, ma essendo cieco, si fa condurre a Damasco, dove rimane tre giorni in rigoroso digiuno e in continua orazione. Al terzo giorno Anania, sacerdote della Chiesa Damascena, per rivelazione di Dio, si porta nel luogo dove si trova Saulo, lo battezza e gli ridona la vista. Da quel momento Paolo è mutato da feroce lupo in docile agnello : la grazia di Dio opera in lui per formare il vaso di elezione, l’Apostolo delle genti.
Paolo, docile ai voleri di Dio, tanto crebbe nell’amore di Gesù, che arrivò a dire:
Le quattordici lettere scritte dal santo che ci sono pervenute, ognuna delle quali mette a nudo la sua anima, ci fanno intravedere il miracolo della grazia operato sulla via di Damasco. Incomprensibile per chi voglia cercarne una spiegazione puramente psicologica, ricorrendo magari all’estasi religiosa o, peggio, all’allucinazione.
San Paolo trarrà dalla sua esperienza questa consolante conclusione:
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