27 gennaio 2019: è la Giornata della Memoria. ‘Ad Auschwitz ci dissero: avrete solo tre mesi di vita!’
Ricordiamo in questo giorno le parole di Paczynski, barbiere del comandante del lager Rudolf Hoess – La voce sottile, il modo affabile delle persone anziane, anche in lui la passione del racconto: mentre parla, Jozef Paczynski, a tratti ci si dimentica che la sua storia e’ quella di un sopravvissuto di Auschwitz. Polacco, parti’ col primo “carico” umano verso il lager che assurge a simbolo assoluto dell’Olocausto: “Eravamo 728, avevo 19 anni, ci rimasi dal 1940 fino al 19 gennaio 1945: l’ho lasciato con l’ultimo trasporto, la marcia della morte che ci condusse a Mauthaunsen – dove fu salvato dagli americani – Ci sono rimasto per 5 anni e due mesi”.
Paczynski parla nella casa dell’incontro di Auschwitz, un rifugio nato proprio per portare avanti la memoria, a pochi passi dal lager.
Ricorda gli eventi attraversati da giovanissimo, dopo esser stato catturato dai nazisti di Hitler. “Quando ci arrivai non sapevo cos’era.
Il nome non ci diceva niente ” afferma di Auschwitz -. Ma ricordo bene le parole che ci disse il vicecomandante Karl Fritzsch: ‘qui non siete in un sanatorio, durerete 3 mesi, se siete ebrei non piu’ di 6 settimane'”, ripete citando alla lettera il messaggio di ‘benvenuto’ nel luogo in cui sarebbero state sterminate almeno 1.100.000 persone. “Io pensai: perche’ dovrei morire? Sono sano, giovane, onesto, non ho fatto nulla”, fu la reazione. E Paczynski in effetti ebbe la fortuna di sopravvivere, forse anche grazie al lavoro: “Fui preso come assistente del barbiere”. “Un giorno arrivo’ un sottoufficiale che disse: ‘il piccolo polacco deve venire’. Intendeva me”, racconta. Jozef era stato scelto per tagliare i capelli al comandante del lager, il temutissimo Rudolf Hoess. “Quando me lo dissero non ci ho creduto. Poi mi chiesero se fossi in buona salute, e mi portarono da lui”. Allo sbigottimento subentro’ l’angoscia: “Io avevo molta paura, le mani mi tremavano. Seguii il sottoufficiale. Alla porta mi apri’ la signora Hoess, che mi condusse al primo piano. Non avevo mai tagliato i capelli prima di quel giorno, ma lo avevo visto fare tante volte, e quindi pur spaventato mi misi a fare il mio lavoro. Lo feci bene. Ma lui non disse una parola, neppure una parola”. Un atteggiamento che Hoess – “padre di famiglia esemplare, 5 figli, non picchiava nessuno, severo, dava indicazioni chiare agli altri” – mantenne anche successivamente, ogniqualvolta, regolarmente, il giovane barbiere veniva condotto da lui, per shampoo e taglio.
“Forse mi trovava disgustoso, gli facevo ripugnanza”.
Paczynski fu fra coloro che proprio grazie all’impiego assunto nel lager ebbe l’opportunita’ di sopravvivere, ma della sua vita ad Auschwitz non parla come un ‘privilegiato’: “Lavoravo onestamente, mai avuto un vantaggio”. Solo la fortuna di sopravvivere, nonostante il tifo, la fame, la vita disumana del campo. Nella sua memoria e’ scolpito il giorno del primo esperimento col zyklon B, il 3 settembre 1941: “Dopo l’appello della sera, vidi una colonna di russi, soldati in divisa: furono portati al blocco 11”. Furono sterminati 600 prigionieri russi, e 250 polacchi quel giorno. “Dopo, le SS ebbero un bel da fare, dovettero eliminare nel crematorio ben 850 cadaveri. Era il primo tentativo, e riusci'”.
Ai fotogrammi agghiaccianti, seguono momenti surreali del racconto, con dei distinguo anche sui carnefici “non tutti erano cattivi”.
Paczynski vola indietro nel tempo, e rievoca la vigilia di Natale, la prima del lager, quando i prigionieri intonarono i canti. L’esito di quel concerto improvvisato fu un ordine sorprendente: “Vollero che mandassimo delle lettere a casa per farci spedire gli strumenti”. E cosi’ nacque l’orchestra di Auschwitz – “un’orchestra meravigliosa, c’erano anche professionisti di tutta Europa, prigionieri” – che suonava ogni mattina e ogni sera. “Soprattutto marce: ci accompagnavano al lavoro, e al rientro – conclude – quando in molti pero’ erano gia’ morti”.
di Redazione Papaboys