La misteriosa tipologia del “peccato contro lo Spirito” è l’altra specie dei peccati che si oppongono formalmente alla virtù teologale della fede. La motivazione di ciò si comprende analizzando e meditando bene le parole di Gesù riportate dell’evangelista san Marco. Il contesto è un esorcismo praticato da Gesù in Giudea (o forse più di un esorcismo) di cui vennero a conoscenza gli scribi di Gerusalemme.
Ora, bisogna sapere che il fatto di cacciare i demoni è uno dei pochissimi segni certi di presenza di Dio in chi compie tale opera (le altre sono: predire con precisione un evento futuro, oppure rivelare un segreto del cuore di una persona che sia noto a lui solo). Ebbene gli scribi cominciarono a cianciare (bestemmiando) che quest’opera di Gesù sarebbe stata possibile non per la presenza in Lui dello Spirito di Dio, ma di uno dei principi delle potenze infernali, cioè Beelzebùl. Al che Gesù oppose non essere ciò possibile, dal momento che il regno del male appare compatto ed agguerrito ed un regno che fosse diviso in questo modo così grossolano starebbe per contro in procinto di essere distrutto. E concluse dicendo queste testuali parole: “In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna”.
Poiché dicevano: “E` posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3,28-30). Dal che si capisce bene il motivo per cui la bestemmia contro lo Spirito è un peccato contro la fede. La fede, infatti, come abbiamo precedentemente visto, ha certamente la sua prima e principale “autorità” su Dio e sulla sua Rivelazione. Ma, perché non scada in una vana creduloneria o in una sorta di sciagurato fideismo, Dio stesso si è preoccupato di dare dei segni circa la soprannaturalità delle cose rivelate ed anche della credibilità di Chi le ha rivelate (in questo caso Gesù in persona). Abbiamo detto poc’anzi che scacciare i demoni rientra tra i segni inequivocabili di origine divina e soprannaturale dell’esorcista per un motivo molto semplice (spiegato da Gesù nello stesso contesto): i demoni sono angeli decaduti, la cui natura è infinitamente superiore e più potente a quella umana. Nessuno che non fosse più grande di loro potrebbe esercitare autorità su di essi. Anche gli angeli buoni (si pensi a san Michele) combattono e vincono contro gli angeli ribelli perché hanno Dio con loro; in caso contrario (essendo della stessa natura degli angeli ribelli) la loro vittoria sarebbe tutta da dimostrare. Se un segno così grande viene travisato e addirittura interpretato come prova del contrario (Gesù sarebbe una sorta di alleato del principe dei demoni per ingannare la gente) è ovvio che l’esito di tale assurda operazione sarebbe (come fu nel caso di quegli scribi) la totale incredulità. Anche le singole tipologie di peccati contro lo Spirito Santo che la tradizione teologica della Chiesa è venuta man mano enucleando, sono tutte, almeno sotto un certo preponderante aspetto, in opposizione alla virtù teologale della fede. La disperazione della salvezza, infatti, deriva dal non credere nella potenza infinita della divina misericordia che può perdonare e di fatto perdona sempre il peccatore che si pente sinceramente delle colpe commesse, è fermamente deciso a non più commetterle e disposto a ripararle e a farne debita penitenza. La presunzione di salvarsi senza meriti nega l’altra importante verità di fede che Dio è, oltre che misericordioso, sommamente ed infinitamente giusto e, in quanto tale, premia i buoni e punisce i malvagi, onde per entrare in paradiso bisogna compiere quelle che san Paolo chiama le “opere della fede” (ossia le opere buone), altrimenti si resta fuori. L’impugnazione della verità conosciuta, tipologia molto vicina a quella del Vangelo che abbiamo commentato, consiste nell’immotivata e volontaria negazione di una verità di fede e morale già conosciuta esplicitamente nella fede e poi rinnegata volontariamente e colpevolmente. L’ostinazione nel peccato nega la verità di fede che solo quando si è pentiti si riceve il perdono di Dio, così come l’impenitenza finale dimentica che basta anche solo un sincero atto di contrizione per scampare dall’eterna dannazione. L’invidia della grazia altrui – che è per la verità formalmente contraria (come vedremo) alla virtù teologale della carità – deriva però da un rifiuto di riconoscere la sovrana libertà divina di rendere o donare a ciascuno le grazie e i doni che spetta solo a Dio dare a chi vuole, come vuole, quando vuole e quanto vuole, per i suoi imperscrutabili disegni che devono essere accolti sempre nell’ottica di fede che Dio sa quello che fa e, Solo, conosce tutti i “perché”.
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