Quando è che l’umorismo nasconde una realtà oscura? Prendete questa frase che ho visto di recente online: “L’età adulta è come guardare da entrambi i lati prima di attraversare la strada e poi essere colpiti da un aeroplano”.
Potrebbe farci ridere (nervosamente) perché sembra piuttosto improbabile e incoerente, ma ricordo di aver letto sul giornale una trentina di anni fa la storia di una donna che stava tornando a casa dopo essere andata a prendere la torta di compleanno per il figlio di 10 anni. Si fermò al semaforo rosso, un aereo cadde dal cielo e la uccise. All’epoca mi chiesi: “Come riuscirà a uscire dal letto il giorno dopo il figlio di questa donna? Come riuscirà mai a uscire di casa?” (vorrei sapere cosa ne è stato di lui).
Potrei ritenere la vita esageratamente pericolosa, aspettandomi l’inaspettato più di quanto faccia la maggior parte delle persone. Potrebbe essere così, ma ne ho motivo. Per quattro estati ho lavorato per una compagnia di assicurazioni automobilistiche. Mentre i miei amici passavano l’estate giocando sulla spiaggia o guadagnando denaro per la scuola facendo pizze, io leggevo migliaia di resoconti di incidenti. Anni dopo ho lavorato come cappellano in un centro per traumi. Parte del mio lavoro era essere l’incubo peggiore per un genitore. Ero la voce dall’altro lato del telefono nel bel mezzo della notte che diceva: “Mi dispiace, c’è stato un incidente…”
La vita umana è sempre stata qualcosa di incerto e rischioso. Forse siamo più certi della nostra incertezza perché ora siamo informati istantaneamente delle tragedie che avvengono in tutto il mondo e siamo soggetti a problemi impensabili in precedenza – reattori nucleari che si guastano o aerei commerciali che vengono lanciati contro dei grattacieli.
Siamo tutti soggetti a perdite, violenza e morte mai viste prima. La nostra vita privata può essere capovolta in un istante: quando il nostro medico dice “cancro”, o quando il nostro coniuge dice “divorzio”, quando il nostro capo dice “licenziato”, quando nostra figlia adolescente dice “incinta”. In quei momenti sembra che le nostre basi si sgretolino, e sembra inevitabile gridare “Dov’è Dio?” In quei frangenti non dovremmo sorprenderci se sussurrassimo “Come ha potuto Dio permettere che accadesse?”
Di fronte a queste domande angosciate, non basta una mera buona disposizione. Non è sufficiente dire “Non preoccuparti, so che andrà tutto bene!” In quei momenti, le vuote banalità dei pii desideri faranno più male che bene. Quello che serve è la speranza soprannaturale.
Josef Pieper può guidarci al riguardo: “… non ci sono altre parole nella Sacra Scrittura o nei discorsi umani in generale che possano richiamare in modo tanto trionfante l’atteggiamento di una persona che rimane salda nella speranza contro tutta la distruzione e attraverso un velo di lacrime come quelle del paziente Giobbe: ‘Anche se dovesse uccidermi, io confiderò in lui’”.
Non è difficile immaginare che Gesù sulla croce, sentendo come se Suo Padre Lo avesse abbandonato, abbia richiamato quelle parole di Giobbe (Mt 27, 46). Ne “Le lettere di Berlicche”, C.S. Lewis descrive l’avvertimento di un tentatore “senior” a un giovane tentatore: “La nostra causa non è mai più in pericolo di quando un uomo, non desiderando più ma ancora comprendendo di fare la volontà del nostro Nemico, guarda un universo da cui ogni traccia di Lui sembra essere scomparsa e chiede perché è stato abbandonato, e continua comunque a obbedire”.
Qualche giorno fa abbiamo celebrato la canonizzazione di Santa Teresa di Calcutta. Meno di dieci anni fa, parte della sua corrispondenza privata è stata resa pubblica. Alcune lettere indicavano che il suo cammino di fede è stato spesso un lungo cammino nell’oscurità, con poche o nessuna consolazione. E tuttavia ha continuato a camminare – ha continuato ad amare, a servire, a testimoniare e a pregare. Le sue lotte hanno richiamato silenziosamente l’angoscia e la fedeltà di Giobbe e di Gesù.
Definendo la disperazione l’opposto della speranza e “il peccato più pericoloso”, San Tommaso d’Aquino avverte che “niente è più odioso della disperazione, perché l’uomo che ne è afflitto perde la sua costanza sia nelle fatiche quotidiane della sua vita che, cosa peggiore, nella battaglia della fede”. Nella nostra epoca caotica, e nelle nostre esperienze private di perdita e dislocazione, come eviteremo la disperazione e come riusciremo ad aggrapparci alla speranza?
Dalle Scritture e dai santi possiamo imparare tre lezioni: ricordare, resistere e risolversi. Ricordare la fedeltà di Dio – come vista nella rivelazione e nella storia della Chiesa. Resistere alle illusioni – soprattutto a quelle per cui il dolore attuale è permanente e che questo mondo è la nostra vera e unica dimora. Risolversi ad agire basandosi sulla verità piuttosto che sui sentimenti – la verità è che Cristo ha vinto il peccato e la morte e condividerà la Sua vittoria con il Suo popolo fedele.
Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/Padre Robert McTeigue)
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