“Ora nessuno resterebbe da solo come successe a Dalla Chiesa”. Nessuno ora rischia di rimanere isolato nella lotta alla criminalità organizzata: ne è sicuro il presidente del Senato Piero Grasso che è a Palermo per partecipare alla cerimonia di commemorazione della strage di via Carini a 32 anni di distanza. La solitudine, infatti, fu una delle più letali nemiche nella battaglia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa contro la mafia. Sceso in Sicilia sull’onda del successo che la sua unità dell’Arma ottenne nello smantellamento delle Brigate rosse alla fine degli anni 70, fu inviato come prefetto nel capoluogo dell’isola per tentare di porre un freno alla seconda guerra di mafia, quella che stava vedendo i Corleonesi spargere il sangue per le strade per scalare la Cupola.
La solitudine prima dell’agguato Dalla Chiesa rimase in carica poco più di cento giorni, lamentandosi per altro proprio per la mancanza dei poteri che lo Stato gli aveva promesso, lasciandolo così a combattere una vera e propria guerra con delle armi spuntate. E così, il 3 settembre del 1982, mentre usciva con la moglie Emanuela Setti Carraro, scortato su un’altra macchina dall’agente Domenico Russo, un commando in piena regola lo stava aspettando in via Carini. Prima una motocicletta affiancò Russo. Poi una vettura raggiunse quella dove viaggiavano il generale e la moglie. Tutti e tre furono uccisi sotto i colpi di due Ak-47. Un’esecuzione militare. La morte di Dalla Chiesa, oltre che provocare un moto di indignazione verso la politica nazionale, fece sollevare numerosi dubbi anche su eventuali significati nascosti del delitto.
Il mistero della cassaforte Si era parlato, infatti, di un memoriale di Aldo Moro che gli uomini di Dalla Chiesa avevano rinvenuto in un covo delle Br, documento scottante che conteneva diversi passaggi in cui l’ex presidente del Consiglio avrebbe fatto supposizioni sulle responsabilità legate al suo sequestro. Un memoriale che Dalla Chiesa avrebbe consegnato a Giulio Andreotti non integrale, conservando per sé alcune parti dal contenuto particolarmente drammatico. La cassaforte di Dalla Chiesa, dove il generale custodiva documenti personali riservati, è fra l’altro tornata di attualità nelle ultime intercettazioni di Totò Riina dal carcere. Il “padrino” ne parla infatti con il boss pugliese Lorusso, accennando al fatto che alcuni suoi uomini l’avrebbero “ripulita” da carte “scottanti”.
Il messaggio di Napolitano E proprio nel giorno delle celebrazioni dedicate al sacrificio di suo padre, Nando Dalla Chiesa chiede di far luce sulle inquietanti frasi del boss che “confermano i sospetti che noi manifestammo da subito”. Un anniversario, quello di quest’anno, caratterizzato dunque anche da indiscrezioni giudiziarie che potrebbero aprire nelle prossime settimane nuovi scenari sugli anni della mattanza di Palermo. Anche il Presidente della Repubblica ha fatto sentire la sua voce, seppure a distanza, con un messaggio che è stato letto durante la messa nella chiesa di San Giacomo dei Militari, nella caserma intitolata proprio al generale Dalla Chiesa: “A 32 anni dal barbaro e vile agguato rendo commosso omaggio alla memoria del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e del valoroso agente di scorta Domenico Russo. Con quel brutale atto criminoso, che resta drammaticamente nel ricordo di tutti, si voleva colpire il tenace impegno di un intransigente ed esemplare servitore dello Stato. Che pur consapevole del rischio personale si spinse fino all’estremo sacrificio per difendere le istituzioni e i cittadini dalla violenza mafiosa”. di Giancarlo Ursi per Rai News
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