La Sindone di Torino, nota anche come Sacra Sindone o Santa Sindone, è un lenzuolo di lino conservato nel Duomo di Torino. Sul quale è visibile l’immagine di un uomo che porta segni interpretati come dovuti a maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù.
La Sindone è un lenzuolo di lino, tessuto a spina di pesce, delle dimensioni di circa m 4,42 x 1,13. Contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. L’immagine è contornata da due linee nere strinate e da una serie di lacune: sono i danni dovuti all’incendio avvenuto a Chambéry nel 1532.
L’ESORCISMO FATTO CON LA SACRA SINDONE PER LIBERARE…
Secondo la tradizione si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli che servì per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro. Questa tradizione ha trovato numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul Lenzuolo e la probabilità che la Sindone sia autentica è altissima. Certamente la Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo Papa san Giovanni Paolo II l’ha definita “specchio del Vangelo”.
Spesso quando parlo ad amici e conoscenti della Sindone mi pongono questa domanda. Io ho consultato molti libri, ancora adesso sul mio tavolo da lavoro sono ammassate montagne di fascicoli con i risultati delle ricerche scientifiche, volumi, fotografie, ritagli di articoli di giornale, ma… sapete come ho ottenuto la mia risposta? Ho messo da parte tutte queste cose e mi sono recato davanti al Telo, ho lasciato che fosse Lui, l’Uomo della Sindone, a guardare me.
In questo articolo cercherò di accompagnarvi con me, davanti a Lui, davanti al Volto dell’Uomo della Sindone, davanti all’immagine di quel corpo ferito e martoriato che giace disteso, muto e silenzioso, ma che… parla, anzi urla al nostro cuore. Volete venire con me a vedere, a sentire cosa ci dice l’Uomo della Sindone?
Oggi vi parlerò della Sindone, ma lo vorrei fare in modo diverso da quanto siamo abituati a leggere sui giornali o vedere alla TV. Non vi riproporrò il solito dibattito sull’autenticità del Telo. Non tornerò sulla polemica riguardante la discussa datazione al carbonio 14, nè vi racconterò delle innumerevoli analisi chimico-fisiche più recenti che sembrerebbero posizionare il Telo nel tempo giusto (I secolo d.C.) e nel luogo giusto (Medio Oriente). Tutti argomenti che ho già affrontato in un mio precedente articolo (Sindone. Un mistero di croce e di luce).
Oggi vorrei portarvi a vedere la Sindone con gli occhi del cuore, dimenticando per un momento tutti i riscontri scientifici. Scopriremo che, alla fine, è molto più facile trovare le risposte alle nostre domande lasciando che sia l’Uomo della Sindone a guardare noi, anzichè noi a guardare Lui.
Vi assicuro che trovarsi davanti al Telo in un’atmosfera raccolta come quella del Duomo di Torino, provoca un’emozione unica, indescrivibile, ben diversa da quanto si possa percepire osservando una fotografia, ma… in mancanza d’altro… iniziamo a guardare qui. Facciamolo però in silenzio, soffermandoci almeno alcuni istanti su ogni particolare:
cosa (o meglio chi) vediamo in questa immagine?
Il Volto dell’Uomo della Sindone presenta numerose contusioni: la parte destra del Volto si presenta più gonfia della sinistra, e vi sono delle tracce di ematomi. Ci sono anche segni di ferite lacerocontuse. Il setto nasale è deviato a causa di una frattura. L’Uomo della Sindone risulta essere stato selvaggiamente percosso nelle ore precedenti la sua morte.
Sulla fronte, sulla nuca e lungo i capelli si possono vedere numerose colature di sangue, ad andamento sinuoso, che sgorgano da ferite da punta di piccolo diametro. Sono disposte a raggiera intorno al capo e sembrano provocate dall’imposizione sul capo stesso di un casco di aculei accuminati. Le caratteristiche della colatura del sangue che sgorga dalle ferite permettono di distinguere tra lesioni di vasi arteriosi e vasi venosi.
Particolarmente singolare è la colatura sgorgata da una ferita all’arteria frontale, che assume la caratteristica forma di 3 rovesciato, poichè segue l’andamento delle rughe della fronte stessa.
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».
Sulla parte destra del petto spicca una grande chiazza di sangue che fuoriesce da una ferita di forma ovale, provocata da un oggetto appuntito e tagliente, che ha colpito tra la quinta e la sesta costola e che è penetrato in profondità, le caratteristiche di questa ferita sono importanti in quanto mostrano che essa fu inferta dopo la morte del soggetto. Anche il sangue che ne sgorga si presenta circondato da un alone sieroso, come avviene per il sangue uscito da un cadavere in cui si è già separata la parte sierosa da quella corpuscolata.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Le braccia sono distese, mentre le mani sono incrociate all’altezza del pube. Possiamo notare copiose colature di sangue che sembrano partire dai polsi per risalire fino all’altezza del gomito. Si tratta di colature di sangue che si sono formate quando il corpo era appeso alla croce ed i polsi si trovavano più in alto rispetto ai gomiti.
Sul polso sinistro è ben visibile una caratteristica chiazza di sangue formata da due colature divergenti che paiono disegnare una V coricata. La colatura diverge perchè l’Uomo della Sindone ha assunto due diverse posizioni sulla croce: quella accasciata e quella sollevata. Il sangue fuoriesce da una ferita di forma ovale, provocata da uno strumento a punta: quale un chiodo. Particolare è la posizione della ferita, che non si presenta nel palmo della mano, come viene raffigurata nella tradizione iconografica della crocifissione, ma nel polso.
Le mani dell’uomo della Sindone non mostrano il pollice, perchè questo è flesso all’interno del palmo. Questo molto probabilmente è dovuto al fatto che il chiodo ha danneggiato il nervo mediano e questo può aver provocato l’opposizione completa del pollice. Notiamo anche che il pollice si trova naturalmente in una posizione arretrata rispetto alle altre dita e per questo potrebbe non essere arrivato a contatto con il lenzuolo.
La cute del torace del dorso presenta oltre un centinaio di ecchimosi escoriate, consistenti in figure tondeggianti ed abbinate, lunghe circa 2 centimetri visibili anche sugli arti inferiori. Sembrano lesioni provocate dal flagello, strumento romano di tortura, costituito da un manico di legno da cui si dipartono delle corde al termine delle quali sono fissati dei piccoli piombi a forma di manubrio.
All’altezza della zona scapolare sinistra e sovrascapolare destra, si osservano delle ecchimosi a forma quadrangolare riferibili ai segni lasciati da un oggetto pesante e ruvido che può essere identificato con il patibulum, l’asse orizzontale della croce che a volte il condannato portava su di sè fino al luogo dell’esecuzione.
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco.
All’altezza delle reni si osserva una colatura di sangue trasversale che attraversa tutto il dorso, si tratta del sangue sgorgato dalla ferita al costato qui defluito quando il corpo, una volta deposto dalla croce, è stato messo in posizione orizzontale.
Gli arti inferiori dell’Uomo della Sindone sono bene individuabili sia nella figura anteriore che in quella posteriore. Entrambe le ginocchia presentano delle escoriazioni, molto probabilmente dovute a cadute, poichè in queste zone, come sulle piante dei piedi, sono state individuate tracce di terriccio. Da notare ancora che il ginocchio sinistro è stato fissato dalla rigidità cadaverica in posizione più flessa rispetto al destro, perciò l’arto sinistro risulta, nell’immagine, più corto. La pianta del piede destro è nitidamente impressa, mentre del sinistro è visibile solo la parte posteriore, in prossimità del tallone, ciò suggerisce che la crocifissione sia avvenuta utilizzando un solo chiodo e sovrapponendo il piede sinistro al destro. Sulla pianta di quest’ultimo si nota il foro di uscita del chiodo da cui si dipartono dei rivoli di sangue che scendono verso le dita.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Le impronte corporee che si vedono sulla Sindone sono scure in corrispondenza a zone in rilievo, mentre sono chiare nelle altre, l’immagine si presenta quindi con una distribuzione di luminosità opposta a quella che percepiamo nella realtà. L’impronta si comporta pertanto come un negativo fotografico.
Trasformando l’immagine della Sindone nel suo negativo fotografico i chiaroscuri sono invertiti ed appare il vero aspetto dell’ Uomo della Sindone, come potremmo osservarlo se si trovasse di fronte a noi.
Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro.
Bene. Ora che abbiamo davanti a noi l’immagine dell’Uomo della Sindone, soffermiamoci qualche istante a contemplarla. Cerchiamo di farlo, come scrivevo all’inizio, con gli occhi del cuore.
Stiamo guardando un Uomo che è stato flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro dopo essere stato costretto a trasportare sulle proprie spalle il legno al quale venne inchiodato e legato. L’Uomo che stiamo guardando è caduto una o più volte durante il percorso.
Ma, è proprio Gesù? E soprattutto quanto è davvero importante questa domanda?
Per ora la scienza non ci ha dato la certezza che si tratti di Gesù, ma la scienza non ha neppure saputo fino ad ora spiegare come l’immagine si sia formata sul lenzuolo. Quel che è certo è che le ferite e le tracce di sangue sulla Sindone coincidono in modo impressionante con le sofferenze di Gesù narrate nei Vangeli.
San Giovanni Paolo II, durante la sua visita a Torino il 24 maggio 1998, definì la Sindone“Specchio del Vangelo”.
Benedetto XVI, il 2 maggio 2010 davanti alla Sindone dichiarò: “Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo”.
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