Non ho scritto “perla” per caso. Le perle sono un gioiello strano. Non si regalano, si dice, perché portano lacrime e se te le regalano devi dare un soldino indietro. Non le puoi tenere chiuse in un sacchetto perché si ingialliscono e muoiono. Hanno bisogno della pelle, dell’aria. Ecco perché questa notizia mi sembra una perla: è preziosa ma è anche triste. La ricevo come un dono ma sento che debbo dare qualcosa indietro.
Non posso chiuderla in un sacchetto. Devo e voglio portarla addosso per darle vita. Non voglio che muoia.
Se sei donna lo sai meglio di un uomo. Il vestito giusto ti aiuta ad affrontare un momento dove quello che sei, quello che sai, quello che hai nel cervello e nel curriculum, non ti basta. Hai bisogno di quell’abito rosso. Di quel paio di scarpe. Di quella borsa. Di quel maglione. Non è superstizione. È che non siamo angeli e l’aria e i pensieri non ci bastano per vivere. Ci vuole qualcosa da indossare, da calzare, da mettere a tracolla, da tenere in tasca. Che ci aiuti ad entrare, a parlare, ad affrontare, a sorridere. Scopri che la Dress therapy, e la Moda terapia, non sono qualcosa di superfluo, non sono qualcosa da rubrica del benessere per arrivare in forma alla prova costume 2015.
Sto parlando di quel linguaggio del corpo che non esce dalla bocca, che non ha bisogno delle parole giuste o del timbro di voce giusto, ma ha le sue regole, le sue parole, le sue “cose giuste”. Che ti fanno affrontare meglio la tua giornata. Che non ti fanno sentire solo, ma anzi più forte, quando affronti la tua prova quotidiana. Il pane quotidiano che chiediamo per le nostre giornate non scende dall’alto in una nuvola luminosa ma, anzi, a volte è nell’armadio. A volte si arma di pennarelli e colori vari e fa, di una copertura a protezione per una terapia importante, una maschera che mi fa forte.
Le maschere, se sono buone, non nascondono per ingannare: nascondono per svelare quella parte di me che non ha parole per dirsi, per raccontarsi, ma ha bisogno di protezione. Harley Renshaw ha il suo camice da Tartaruga Ninja a combattere con lui. Così da quando un bimbo di cinque anni si è ammalato, il cancro deve contare tra i suoi nemici, oltre che la ricerca medica, anche un camice da Tartaruga Ninja.
I bambini non hanno paura di essere umani e mi insegnano che è così che si diventa uomini. Essendo umani, vivendo da uomini, e non vergognandosene. Harley mi insegna che non sono un uomo se non piango mai. Se non mi faccio vedere debole. Se non ho paura. Se non dico: stai con me. Se non mi faccio aiutare ma sono un self made man tutto di un pezzo. Harley mi insegna che le paure si vincono non affrontandole da soli ma che ci sono momenti che sei solo. Non perché nella macchina per la radio terapia non puoi entrarci con mamma, ma è proprio che ci sono momenti che nella vita ci sei tu e punto. Non è solitudine. È che è la tua vita e che ci devi entrare tu. Lei ti chiama e tu rispondi. Sei tu.
E allora io dietro Harley ci vedo qualcuno che gli vuole bene e che sa come si fa ad essere in due quando si è costretti a stare da soli: ci si vuole bene. Ci si fa del bene. Ci si dice Harley ce la fai! Harley cosa ti fa stare bene? Cosa ti piace? Le tartarughe Ninja! Sono forti. Mi danno coraggio. Mi fanno sentire forte. Combattono contro il male. Come si fa ad essere in due quando si è soli? Con un pennarello. E comincia a colorare. E Tartaruga Ninja sia. Adesso vai Harley, infilati nel tubo e combatti.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da Huffingtonpost
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