All’età in cui si è autorizzati a pensare alla pensione, lui ha premuto il piede sull’acceleratore. E ha deciso di mettere le ali al sogno che lo accompagnava da circa 15 anni: fare ancora il pastore, non più vescovo, ma semplice presbitero, in terra di missione.
Monsignor Gianfranco Todisco, 71 anni, napoletano, fino alla fine di giugno ha guidato la diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, in Basilicata. I suoi fedeli hanno imparato ad apprezzare i suoi interventi sui temi del lavoro, nella pastorale e per l’attenzione ai migranti con un respiro ampio, non solo legato all’emergenza. La lettera che ha inviato un paio di mesi fa − «Non sarò più vescovo di questa diocesi. Torno a fare il missionario. Andrò in Honduras» − ha destato stupore, dispiacere, ma nessuno in fondo è rimasto sorpreso più di tanto: il vescovo che nel 2002 si era presentato a Melfi aveva portato con sé tutto il carisma missionario degli Ardorini, la Congregazione dei pii operai catechisti rurali in cui si è formato.
«Le mie prime esperienze missionarie le ho fatte a 12 anni, appena entrato in seminario minore, quando accompagnavo i sacerdoti in campagna, nelle scuole rurali, sull’Aspromonte. So cosa significa andare nelle periferie», chiosa Todisco. «Non credo di fare nulla di eccezionale se non ritornare alle origini della mia vocazione. D’altra parte ho cercato di vivere anche il ministero episcopale come una missione».
Al collo porta una piccola croce in legno, dono delle Sorelle misericordiose, una congregazione nata a Melfi e ora missionaria nelle Filippine. Anche se nelle occasioni importanti indossa «la croce più cara, in filo di ferro dorata, che mi regalò Giovanni Paolo II, il Papa che mi ha nominato vescovo».
SI È GIÀ “SPORCATO LE MANI”
L’Italia l’aveva già lasciata 32 anni fa, per andare a lavorare tra gli immigrati italiani in Canada, poi è stata la volta della Colombia e di altri Paesi dell’America latina. «Sono stato 21 anni in missione, e ho conosciuto Sudamerica, Centramerica, Africa, Filippine e Indonesia», dice Todisco.
Negli ultimi dieci anni ha fatto parte della Commissione per l’evangelizzazione della Cei, e, andando in giro, si è «accorto che i missionari italiani diventano più anziani e diminuiscono. Questo ha alimentato la mia inquietudine». Melfi, racconta, è una diocesi di poco più di 86 mila abitanti, dove persino nelle parrocchie più piccole, 500 abitanti, c’è un presbitero. «Ho visto invece posti più grandi dell’intera diocesi che non hanno neanche un sacerdote. Questo è il motivo che mi ha spinto a dire “se vuoi posso andare io”». In concreto, una volta giunto a questa determinazione interiore, ha scritto a papa Francesco, il quale gli ha risposto con un bigliettino: «Grazie per quello che hai scritto, mi ha fatto molto bene, ci penserò. E cercherò di darti risposte concrete».
TRE TELEFONATE
Dopo un mese, il 13 dicembre 2016 − «è una felice coincidenza perché 14 anni prima nello stesso giorno è stata data notizia della mia elezione a vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa» – Francesco lo ha chiamato al telefono e gli ha chiesto se veramente voleva andare in missione. Dopo due mesi un’altra telefonata, questa volta la segreteria del cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, gli pone la stessa domanda e sonda se non ci sono altre ragioni, qualche difficoltà in diocesi, che spingono a lasciare. La terza telefonata è quella del nunzio apostolico in Italia, con il quale Todisco stabilisce la data ufficiale dell’annuncio, a fine aprile, e quindi della partenza. «Il giorno prima ho convocato il Consiglio dei consultori, poi ho scritto una lettera a tutta la comunità diocesana dicendo che ritornavo in missione come semplice presbitero, in quei luoghi dove c’è più bisogno».
Nei suoi piani il vescovo indica come possibile approdo la missione italiana in Svizzera, «che è stato il primo Paese che ho visitato, poi ho pensato ai luoghi di missione che conosco». Alla fine papa Francesco ha deciso che andrà nella diocesi di Tegucigalpa, in Honduras, dove è arcivescovo il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga e dove la diocesi di Melfi aveva un presbitero Fidei donum tornato a casa per motivi familiari.
«È una Chiesa giovane, che sta crescendo, ma che ha bisogno di ritrovarsi in una comunità parrocchiale, con un presbitero. Non è il vescovo Gianfranco che va in missione, ma Gianfranco che è stato vescovo che va a continuare questa missione di cui c’è tanto bisogno. Entro luglio è probabile che sia lì, dopo una settimana di esercizi spirituali con i miei confratelli».
IN VALIGIA IL SAPER ASCOLTARE
Se in diocesi aveva portato l’esperienza del missionario, ora in missione porterà quella di vescovo. In particolare «il saper ascoltare tutti, anche se non è facile. Qualche sacerdote vorrebbe il pastore a propria immagine e somiglianza, qui ho imparato l’importanza della governabilità: molti hanno il mio telefono, basta bussare e salire. Prima di diventare vescovo sono stato parroco in Calabria, e per me l’episcopato è stato la continuazione del ministero parrocchiale: questo mi ha permesso di fare molto di più, senza mai chiudere la porta».
In questi anni più volte il nome di Todisco è balzato agli onori della cronaca per i suoi interventi sulle problematiche sociali. Come di recente, quando ha denunciato la compravendita dei posti di lavoro ed è stato convocato in pretura: «Sentivo dire che la gente si affidava al personaggio di turno, ma quando un giovane sacerdote mi ha detto che alcuni hanno pagato fino a 5 mila euro ho denunciato la cosa durante un incontro con dei giovani». Alla platea di studenti, il vescovo ha lasciato due messaggi: «Imparate ad amare la nostra terra, bella e ricca di risorse, dall’agricoltura, all’artigianato, ai beni culturali. E state attenti a non comprare posti di lavoro, come alcuni giovani hanno dovuto fare».
Interessante anche il gemellaggio e i progetti agricoli avviati in Burkina Faso, per aiutare i migranti che dalla Basilicata, dove lavoravano sfruttati nei campi, sono stati espulsi e riaccompagnati nel loro Paese. «Li abbiamo aiutati a metter su una piccola azienda agricola, una stalla, grazie a un’associazione di volontariato italiana che opera lì. Con 8 mila euro abbiamo avviato più progetti e desideriamo andare in questa direzione: è un esempio per chi si lascia tentare e vuole andare via dal suo Paese. E inoltre si sperimenta la comunione tra le Chiese».
Anche nella pastorale Todisco ha fatto sentire la sua voce, imponendo una “moratoria” su padrini e madrine: per tre anni questa funzione, per Battesimi e Cresime, sarà affidata ai catechisti. «Non ne potevamo più. C’è gente, bravissima, che però viene a fare il padrino o la madrina senza avere nessun contatto con la realtà ecclesiale. Il padrino è un rappresentante della comunità, non serve a fare regali. Questa scelta è un campanello di allarme per saper leggere i segni dei tempi, anche per noi».
ATTIVO ANCHE CON LA CEI
Gli anni episcopali gli hanno richiesto la partecipazione alle assemblee della Cei, dove il presule è stato il promotore della proposta di elezione diretta del presidente della Cei. «Lo aveva chiesto il Papa, ma non è stato possibile, ci siamo tirati indietro, abbiamo optato per la terna. Era comunque importante mantenere la comunione tra di noi, è andata bene così. Lo ripeto sempre ai miei sacerdoti: senza comunione non c’è testimonianza di vita cristiana e lo stesso vale per noi vescovi».
Ora inizia una nuova fase della vita, in cui si accinge a vivere da sacerdote in Honduras. A 70 anni, quando ufficialmente si entra nella terza età, Todisco si rimette in gioco. Come vive questo momento? «Grazie a Dio, nonostante l’età, mi sento ancora in buone condizioni. Essendo stato in missione, so cos’è il disagio, ma non mi spaventa. Non ho più le energie dei 30 anni, è chiaro; ma oggi come ieri vado a donare tutto quello che posso».
Foto di Carlo Gianferro
Fonte www.famigliacristiana.it