Una riunione del consiglio di Sicurezza dell’Onu è attesa nelle prossime ore per tentare di far rientrare quelle che il Papa, ieri al termine dell’Angelus, ha definito “gravi tensioni” in corso a Gerusalemme, lanciando un accorato appello “alla moderazione e al dialogo” e pregando affinché il Signore ispiri propositi di riconciliazione e di pace.
Dopo le parole di Francesco, “abbiamo la speranza che anche i leader politici possano ascoltare e fare qualcosa”, dice da Gerusalemme padre David Neuhaus, vicario patriarcale per i cattolici d’espressione ebraica: “non è sufficiente sapere che il Papa ha parlato, ma bisogna anche accogliere queste sue parole” e agire concretamente, prosegue. “Siamo ancora una volta in un ciclo di violenza molto forte”, non esita a dire: il gesuita parla di “tristezza”, “angoscia”. Le tensioni hanno infatti varcato i confini dello Stato ebraico, fino ad arrivare in Giordania.
Le violenze scoppiate alla decisione israeliana di installare metal detector agli ingressi della Spianata delle Moschee sono state seguite da una sparatoria all’ambasciata israeliana di Amman, dove una guardia di sicurezza è stata attaccata da un uomo e ha reagito uccidendo l’aggressore ed un’altra persona. Dopo l’accaduto, le autorità giordane hanno deciso di impedire l’evacuazione della sede diplomatica per poter condurre le indagini. Quasi contemporaneamente, l’ambasciata giordana in Israele ha dichiarato lo stato di emergenza. Quanto successo in Giordania viene letto dalla stampa internazionale come un segnale della crescente tensione in Medio Oriente dopo la decisione israeliana di installare metal detector agli ingressi della Spianata delle Moschee a Gerusalemme. “Quando toccano una cosa così cara per il mondo musulmano, come la moschea di al Aqsa, questo – afferma ancora padre Neuhaus – tocca tutti gli arabi, tutti i musulmani. Credo che in tutto il mondo ci sia questa angoscia, questa rabbia: e noi dobbiamo essere sensibili” al riguardo. “Tutto il mondo arabo guarda con molta angoscia a quello che succede a Gerusalemme, perché Gerusalemme è cara a tutti”, ricorda il gesuita, facendo notare che “la Giordania è molto vicina”: per questo i capi della Chiesa a Gerusalemme “hanno fatto appello al re”, Abdallah II, per chiedergli “di usare la sua influenza per provare a portare un po’ più di moderazione” nella vicenda e “per calmare la situazione”.
In queste ore è in corso una riunione del Consiglio di difesa del governo israeliano, convocato dal premier Benyamin Netanyahu, per una nuova consultazione – la seconda in poche ore – sulle crisi in atto. In mattinata, un palestinese della Cisgiordania ha accoltellato un arabo israeliano nel distretto centrale di Israele. Nel week end, le forze di sicurezza dello Stato ebraico avevano arrestato numerosi alti esponenti di Hamas in Cisgiordania, fra cui un ex ministro, un parlamentare e cinque miliziani liberati anni fa nel contesto di uno scambio di prigionieri. Immediata la reazione del movimento al potere a Gaza, secondo cui Israele starebbe “perdendo il controllo della situazione”.
“Credo che la Chiesa in questa situazione abbia un ruolo molto importante”, mette ancora in luce padre David Neuhaus: “il Papa, i nostri vescovi, i preti, tutti i fedeli”.
L’obiettivo è mostrare di essere davvero “un popolo che chiede la giustizia e la pace, nell’amore e nel desiderio della riconciliazione”. Forse, aggiunge, “la parola più importante” adesso è “perdono”: perché in Terra Santa oggi “tutti sono feriti”, è in atto un tutti “contro tutti”. E, come Chiesa, “siamo chiamati a parlare con coraggio e con forza, nel rispetto di tutti, della giustizia, della pace”. Come Chiesa della Terra Santa, conclude il vicario patriarcale per i cattolici d’espressione ebraica, “siamo dalla parte israeliana, ebraica”, dalla parte “palestinese, araba”, in “dialogo con gli ebrei e con i musulmani”, per mostrare “che la pace, la giustizia e la riconciliazione” non sono soltanto concetti astratti, ma “una realtà incarnata”.
Fonte it.radiovaticana.va/di Giada Aquilino