Marcelito Paez, detto Tito, un sacerdote della diocesi di San Jose, è stato ucciso nelle Filippine. Come confermato dal vescovo Roberto Mallari, che guida la comunità di San Jose, nella parte centrale dell’isola filippina di Luzon, quattro uomini su due motociclette hanno teso un agguato verso le 8 di sera del 4 dicembre mentre il prete 72enne guidava il suo veicolo nella città di Jaen. Portato di corsa in un ospedale nella vicina città di San Leonardo – riporta l’agenzia Fides – è morto circa due ore dopo, per le ferite da arma da fuoco. Si è trattata di una vera e propria esecuzione, che il Vescovo Mallari “condanna fermamente”, chiedendo alle autorità “di condurre appropriate indagini e si rendere giustizia alla sua morte”. Finora nessun gruppo criminale ha rivendicato l’omicidio.
Come appreso dalla Fides è forte lo sdegno e il disappunto tra i fedeli nella diocesi e in tutta la comunità cattolica delle Filippine. Veglie e incontri di preghiera spontanee hanno riunito i fedeli locali, che il vescovo ha invitato a “stare uniti nella preghiera per la giustizia”
Paez era un prete diocesano che ha servito la diocesi per più di 30 anni ed era andato in pensione nel 2015, sebbene continuasse l’opera pastorale e apostolica. Nel suo servizio alla Chiesa, era noto per il suo coinvolgimento attivo nella difesa della giustizia sociale, in particolare nelle questioni dei diritti umani che riguardano i poveri. Per molti anni aveva fatto parte della Commissione per l’azione sociale della diocesi, dirigendo l’ufficio per “Giustizia e pace”. Il prete era tuttora il coordinatore a Luzon dei “Missionari Rurali delle Filippine” (Rural Missionaries of the Philippines Rmp), organizzazione intercongregazionale e interdiocesana, formata da religiosi, sacerdoti e laici, uomini e donne, fondata nel 1969 dall’Associazione dei Superiori maggiori nelle Filippine, con l’idea di offre un presenza cristiana attiva nelle aree rurali.
Proprio nel giorno in cui è stato ucciso, Paez aveva contribuito a facilitare il rilascio del prigioniero politico Rommel Tucay, detenuto in una prigione nella città di Cabanatuan.
“E’ un atto molto grave. L’esecuzione è un atto brutale che mira a seminare terrore tra coloro che si oppongono al carattere militarista e dispotico del governo Duterte e mettere a tacere quanti continuano a denunciare le esecuzioni extragiudiziali e le violazioni dei diritti umani”, rileva all’agenzia Fides suor Elenita Belardo, delle Suore del Buon Pastore, coordinatrice nazionale dei “Missionari Rurali delle Filippine”. “Non sappiamo chi siano gli autori del delitto e auspichiamo una seria indagine. In definitiva, riteniamo che il Presidente Duterte rappresenti il responsabile ultimo dei continui attacchi contro i missionari rurali, gli attivisti e i difensori dei diritti umani in questo periodo”, aggiunge la suora, esprimendo condoglianze alla famiglia e alla comunità di padre Tito.
“Il suo impegno nel servire i poveri delle aree rurali è un’ispirazione per tutti noi. Ha servito la gente fino al suo ultimo respiro. Ha sempre cercato di testimoniare il Vangelo e gli insegnamenti sociali della Chiesa, ha difeso i diritti e gli interessi della gente”. Suor Elenita conclude: “Urge denunciare queste atrocità. Viviamo tempi difficili in cui nessuno è al sicuro. Uniamoci tutti e alziamo la nostra voce contro l’assoluto disprezzo per la vita delle persone, che anche il governo attuale incoraggia”, conclude. (P.A.-S.D.)