Francesco nel suo primo discorso in Cile chiede perdono per le violenze commesse dai preti: «Appoggiare con tutte le forze le vittime, impegnarsi perché non si ripetano». E invita le autorità politiche ad ascoltare i poveri e «i popoli indigeni i cui diritti devono ricevere attenzione»
Nel Paese dell’America Latina cattolica in cui la Chiesa ha perso molta della sua credibilità di fronte all’opinione pubblica e che è attraversato da moti di protesta, Francesco sceglie di incominciare chiedendo perdono. Di fronte allo scandalo provocato dal caso di padre Fernando Karadima, carismatico e influente sacerdote riconosciuto colpevole dalla Santa Sede di abusi sui minori nel 2011, e ad altri casi avvenuti in Cile, Papa Bergoglio afferma di provare «dolore e vergogna» per «il danno irreparabile» che gli abusi hanno provocato «ai bambini». Dal 2000 a oggi nel Paese, secondo i dati forniti daBishopAccountability.org sono circa 80 i preti cattolici accusati di abusi sui minori.
La forte richiesta di perdono da parte del Pontefice, oltre ad essere un riconoscimento di responsabilità per l’incapacità della Chiesa di tutelare i più piccoli, è un modo per cercare di rasserenare il clima della visita, dato che padre Karadima è stato il formatore di molti sacerdoti e alcuni di questi più vicini a lui sono diventati vescovi nel Paese: il caso più scottante è quello di Juan Barros, nominato da Francesco vescovo di Osorno dopo essere stato Ordinario militare. Da anni ormai è contestato in diocesi da gruppi di fedeli per la sua vicinanza a Karadima.
Davanti al palazzo presidenziale della Moneda, ideato dall’architetto italiano Gioacchino Toesca, edificio che prende il nome dall’essere stato destinato in epoca coloniale ad ospitare la zecca, Bergoglio è stato accolto dalla presidente uscente de Cile, la signora Michelle Bachelet Jeria, figlia di un generale dell’aviazione imprigionato e ucciso dopo il golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973. Il Papa ha quindi attraversato i due grandi cortili interni dove lo attendevano le autorità, il corpo diplomatico e i rappresentanti del mondo civile e della cultura.
Nel suo discorso di benvenuto Bachelet, a tratti commossa, ha detto: «Santità, la riceviamo con affetto e speranza. La sue parole incoraggiano alla solidarietà e alla tolleranza, e ci aiutano a combattere l’ignoranza e l’egoismo. Siamo orgogliosi di averla con noi». La presidente ha ricordato anche la visita di trent’anni fa di Giovanni Paolo II, in cui il Papa polacco «ha conosciuto un paese ferito in cui mancava la libertà. È bello poter dire che il Cile adesso è un altro, diverse strade ci hanno portato a trovare lo sviluppo, a rendere forte la democrazia, guardando i cittadini come persone e non come consumatori, come lei ci ha insegnato. In questi trent’anni siamo passati dal dolore alla speranza, dalla paura alla fiducia».
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Bachelet ha elencato le sfide che oggi spettano al Cile: tutelare le famiglie, creare posti di lavoro e rispettare l’ambiente alla luce della Laudato sì. «Sappiamo che abbiamo dei debiti verso la società e che ci dobbiamo unire per sconfiggere le diseguaglianze. Abbiamo bisogno anche di chiudere il debito con il popolo Mapuche – ha aggiunto – ci vergogniamo della vulnerabilità che soffre la nostra infanzia, anche con loro abbiamo un debito». «Non possiamo dimenticare che fu la mediazione di un Papa a far evitare la guerra, e non dimentichiamo i membri della Chiesa cattolica che hanno dato la vita per coloro che erano perseguitati nel paese».
Prendendo la parola, Francesco ha ricordato che il Cile «si è distinto negli ultimi decenni per lo sviluppo di una democrazia che gli ha permesso un notevole progresso». Ha osservato che le recenti elezioni politiche, le quali hanno portato alla designazione del nuovo presidente Sebastián Piñera Echenique, sono state «una manifestazione di solidità e maturità civica» raggiunta, ancor più significativa dato che proprio quest’anno si commemorano i 200 anni dalla dichiarazione di indipendenza». Il Papa ricorda, alludendo alla dittatura pur senza nominarla, che il popolo cileno «ha dovuto affrontare diversi periodi turbolenti riuscendo tuttavia – non senza dolore – a superarli».
Francesco ha quindi ricordato che pace e diritti non sono mai scontati e «ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti, e condurle a mete ancora più alte. Il bene – ha spiegato – come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno».
Bergoglio ha invitato a non dimenticare che in Cile, nonostante le sue conquiste economiche e sociali, «molti nostri fratelli soffrono situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti». Ecco allora il compito: «Continuare a lavorare perché la democrazia e il sogno dei vostri padri, ben al di là dei suoi aspetti formali, sia veramente luogo di incontro per tutti» e dove «tutti, senza alcuna eccezione, si sentano chiamati a costruire casa, famiglia e nazione». Un Cile «generoso e accogliente», con un popolo e delle autorità politiche capaci «di ascoltare».
«Questa capacità di ascolto – ha continuato – assume un grande valore in questa nazione, dove la sua pluralità etnica, culturale e storica esige di essere custodita da ogni tentativo di parzialità o supremazia e che mette in gioco la capacità di lasciar cadere i dogmatismi esclusivisti in una sana apertura al bene comune». È indispensabile ascoltare, «ascoltare i disoccupati, che non possono sostenere il presente e ancor meno il futuro delle loro famiglie». Ascoltare «i popoli autoctoni, spesso dimenticati, i cui diritti devono ricevere attenzione, e la cui cultura protetta, perché non si perda una parte dell’identità e della ricchezza di questa nazione». Bisogna ascoltare «i migranti, che bussano alle porte di queste Paese in cerca di miglioramenti e, a loro volta, con la forza e la speranza di voler costruire un futuro migliore per tutti». Bisogna ascoltare «i giovani, nella loro ansia di avere maggiori opportunità, specialmente sul piano educativo e, così, sentirsi protagonisti del Cile che sognano, proteggendoli attivamente dal flagello della droga che si prende il meglio delle loro vite».
Francesco ha poi chiesto di «ascoltare i bambini che si affacciano al mondo con i loro occhi pieni di meraviglia e innocenza, e attendono da noi risposte reali per un futuro di dignità. E qui – ha detto scandendo bene ogni parola con il volto serio e teso – non posso tralasciare di esprimere il dolore e la vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini dai ministri della Chiesa. Desidero unirmi ai miei fratelli nell’episcopato, perché è giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta», aggiunge il Papa interrotto dagli applausi.
Infine, invita a prestare «un’attenzione preferenziale alla nostra casa comune», incoraggiando «una cultura che sappia prendersi cura della terra» senza limitarsi ad offrire soltanto «risposte specifiche ai gravi problema ecologici e ambientali che si presentano», ma anche «l’audacia di offrire uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico».
Dopo l’incontro Francesco ha incontrato privatamente la presidente Bachelet nel Salón Azul della Moneda.
di Andrea Tornielli per Vatican Insider