Francesco incontra sacerdoti e religiosi: «Liberi dal crederci troppo importanti e troppo occupati». Una tentazione che si combatte anche col «saper ridere»
«Dio esiste… Ma non sei tu!». Questa scritta resa famosa perché stampata su alcune magliette, potrebbe ben sintetizzare il messaggio che Papa Francesco, nel penultimo giorno del suo viaggio, ha voluto lanciare ai sacerdoti, religiosi e religiose del Nord del Perù, incontrati nel Colegio Seminario SS. Carlos y Marcelo, uno dei primi seminari fondati in America Latina. Bergoglio ha proposto ancora una volta l’identikit del consacrato che non è incentrato su sé stesso, sulle sue capacità, sulla sua bravura o la sua leadership, ma indica la strada verso un Altro.
«Noi consacrati – ha detto il Pontefice – non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare. Semplicemente ci viene chiesto di lavorare con il Signore, fianco a fianco, ma senza mai dimenticare che non occupiamo il suo posto».
«Questo – ha aggiunto – non ci fa “afflosciare” nell’impegno di evangelizzare, ma al contrario, ci spinge e ci chiede di lavorare ricordando che siamo discepoli dell’unico Maestro. Il discepolo sa che asseconda e sempre asseconderà il Maestro. Questa è la fonte della nostra gioia. Ci fa bene sapere che non siamo il Messia! – insiste Bergoglio – Ci libera dal crederci troppo importanti, troppo occupati». Il Papa ha ricordato che «è tipico in alcune zone sentire: “No, non andare in quella parrocchia perché il sacerdote è sempre molto occupato”».
Francesco ha invitato a non perdere la memoria «a guardare alle nostre radici» per «crescere verso l’alto e portare frutto». Questo «essere ricchi di memoria» porta a una «gioiosa coscienza di sé». E dunque ricordare Giovanni Battista aveva ben chiaro «di non essere il Messia ma semplicemente colui che lo annunciava». Giovanni Battista «sapeva che la sua missione era indicare la strada, iniziare processi, aprire spazi, annunciare che un Altro era colui che portava lo Spirito di Dio. Essere ricchi di memoria ci libera dalla tentazione dei messianismi».
Non solo: «Radici nella terra e cuore in cielo perché quando manca una di queste cose, la nostra vita marcisce, come un albero che non ha radici», ha detto Francesco a braccio. «Dà molta pena vedere qualche vescovo, qualche suora, qualche parroco che marcisce. E molta più pena mi dà vedere seminaristi marci». «La Chiesa è madre – ha aggiunto – e se vedete che non potete, parlate. Prima che vi rendiate conto che non avete radici e che state marcendo».
Il Papa ha quindi indicato, tra i modi per combattere questa tentazione, quello di «saper ridere». «Sì, imparare a ridere di sé stessi ci dà la capacità spirituale di stare davanti al Signore coi propri limiti, errori e peccati, ma anche coi propri successi, e con la gioia di sapere che Egli è al nostro fianco. Un bel test spirituale è quello di interrogarci sulla capacità che abbiamo di ridere di noi stessi». Per farlo, ha aggiunto sempre a braccio, è utile «guardarsi allo specchio» e dire: «E questo sono io? Questo fa ridere… Non è narcisismo, al contrario è lo specchio che ci fa capire come veramente si può curare»
«Ridere ci salva dal neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri. Fratelli, ridete in comunità, e non della comunità o degli altri! Guardiamoci da quelle persone così importanti che nella vita hanno dimenticato come si fa a sorridere».
Il Papa ha quindi notato la precisione con cui Giovanni evangelista ha annotato l’ora del suo primo incontro con Gesù, l’incontro che gli aveva cambiato la vita ed era ancora ben impresso nella sua mente molti decenni dopo, quando ha redatto il suo Vangelo. «Fa bene ricordare sempre quell’ora, quel giorno chiave per ciascuno di noi, nel quale ci siamo accorti che il Signore si aspettava qualcosa di più. La memoria di quell’ora in cui siamo stati toccati dal suo sguardo. “Ma no, padre, io guardo il Signore nel tabernacolo”. Va bene, ma siediti un momento e lasciati guardare da Lui, ricordando le volte che ti ha guardato». E anche delle volte che ti ha chiamato «per servire, non per fare cose a vantaggio di noi stessi», e «farle nello stile di Cristo, no dei farisei, sadducei, dei dottori della legge».
Quindi è importante la memoria, ha ribadito Bergoglio: «Quando ci dimentichiamo di questa ora ci dimentichiamo delle nostre origini, delle nostre radici; e perdendo queste coordinate fondamentali mettiamo da parte la cosa più preziosa che una persona consacrata può avere: lo sguardo del Signore. Ciascuno di noi conosce il dove e il quando: forse in un momento di situazioni complicate, di situazioni dolorose, sì, può darsi; ma lì ti ha incontrato il Dio della vita per renderti testimone della sua vita, per renderti parte della sua missione e farti essere, con Lui, carezza di Dio per molti».
«Ci fa bene ricordare – ha aggiunto – che le nostre vocazioni sono una chiamata di amore per amare, per servire. Se il Signore si è innamorato di voi e vi ha scelti, non è stato perché eravate più numerosi degli altri, anzi siete il popolo più piccolo, ma per puro amore! Amore viscerale, amore di misericordia che commuove le nostre viscere per andare a servire gli altri con lo stile di Gesù Cristo».
Francesco ha quindi sottolineato l’importanza della fede vissuta in famiglia, della fede popolare. «Abbiamo fatto i nostri primi passi, appoggiati non di rado alle manifestazioni di pietà popolare… Il vostro popolo ha dimostrato un enorme affetto per Gesù, la Madonna e i santi e beati, con tante devozioni che non oso nominare per timore di tralasciarne qualcuna». «Vi esorto a non dimenticare, e tanto meno a disprezzare, la fede semplice e fedele del vostro popolo – ha sottolineato Bergogoglio – Sappiate accogliere, accompagnare e stimolare l’incontro con il Signore. Non trasformatevi in professionisti del sacro che si dimenticano del loro popolo, da dove vi ha tratto il Signore. Non perdete la memoria e il rispetto per coloro che vi hanno insegnato a pregare».
A questo proposito, il Papa a braccio ha ricordato che il mese scorso, durante una riunione con maestri di novizi e padri spirituali, «è uscita la domanda: come insegniamo a pregare a quelli che entrano? Si può usare un manuale, oppure dire “prima fare questo, poi quell’altro”; ma in generale gli uomini e le donne più saggi che hanno questo incarico di maestri dei novizi o di padri spirituali – ha spiegato Francesco – devono continuare a pregare come hanno imparato a casa loro e poi poco a poco farlo avanzare in un altro tipo di preghiera». Pregare, cioè, «come ha insegnato la mamma o la nonna. Questa è la fede da seguire, non dispreazzate la preghiera di casa perché è la più forte».
Infine, Francesco ha ribadito che «la fede in Gesù è contagiosa, non può essere confinata né rinchiusa; qui si vede la fecondità della testimonianza: i discepoli appena chiamati attraggono a loro volta altri mediante la loro testimonianza di fede, allo stesso modo in cui, nel brano evangelico, Gesù ci chiama per mezzo di altri. La missione scaturisce spontanea dall’incontro con Cristo. Andrea inizia il suo apostolato dai più vicini, da suo fratello Simone, quasi come qualcosa di naturale, irradiando gioia. Questo è il miglior segno del fatto che abbiamo “scoperto” il Messia. La gioia è una costante nel cuore degli apostoli».
Una gioia che «ci apre agli altri, è una gioia da trasmettere. Nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere, che ci spinge ad isolarci, la sfida per noi è essere artefici e profeti di comunità. Perché nessuno si salva da solo». Attenzione, allora, a non diventare «asettici», ad «usare i guanti» per paura di sporcarsi le mani, tantomeno essere «autoreferenziali».
Frammentazione e isolamento non riguardano infatti solo il mondo, gli altri: «Le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, e quanto male ci fanno! Gesù ci invia ad essere portatori di comunione, di unità, ma tante volte sembra che lo facciamo disuniti e, quello che è peggio, facendoci spesso gli sgambetti. Ci è chiesto di essere artefici di comunione e di unità».
Di qui un invito ben preciso: «Cercate di prendervi cura dei vostri fratelli», raccomanda Francesco. Specialmente i giovani devono avere a cuore il dialogo con gli anziani che «sono ricchi di memoria e ci danno la memoria, e noi dobbiamo essere capaci di accoglierla. Non li lasciamo soli, a volte non voglio parlare, si sentono abbandonati… Allora facciamoli parlare: i sacerdoti anziani, i religiosi anziani, anche i vescovi anziani – le suore no, si dice che non invecchiano perché sono eterne – fateli parlare». «Gli anziani – ha insistito il Pontefice – hanno bisogno che gli facciate brillare gli occhi e così cominceranno a sognare. E se i giovani faranno sognare gli anziani, loro avranno una dimensione profetica».
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Proprio come diceva quell’antico proverbio africano riportato al Papa da un nunzio – «tutti i nunzi passano sempre dall’Africa perché lì imparano tante cose», scherza Bergoglio – «I giovani camminano velocemente, e lo devono fare, ma sono gli anziani che conoscono il cammino».
di Andrea Tornielli per Vatian Insider