Sabato prossimo, durante il tragitto che lo porterà nella Cattedrale di Dublino per l’incontro con le famiglie, papa Francesco si fermerà a venerare le reliquie di una figura di santità che sembra uscire dritta dalle pagine de La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth.
È quella di Matt Talbot, un operaio di Dublino, ex alcolista morto negli anni Venti del ’900. Matt era nato nel 1856 ed era stato uno scolaro molto indisciplinato, tanto che a dodici anni fu messo a lavorare come garzone in un deposito di vino e birra. A tredici anni tornò a casa ubriaco di birra forte. Gli venne trovato un altro lavoro alla banchine del porto: tornava a casa ubriaco di whisky. A diciassette anni vendette anche le scarpe e le calze che aveva indosso per comprarsi da bere. A ventisette anni nessuno voleva più pagargli da bere, lui stesso si beveva tutti i magri guadagni e non era mai in grado di offrire nulla.
Colpito nel vivo da questa umiliazione fece un giorno voto di non bere per tre mesi, ma la sofferenza era tale che giurò a sua madre che lo avrebbe rotto non appena superati i tre mesi. Ma quel voto fu l’inizio della conversione. Cominciò ad andare a Messa ogni giorno, alle cinque del mattino, e a comunicarsi.
Non ruppe mai il voto e insieme al vizio di bere se ne andò anche quello del turpiloquio. Da allora in poi volle dormire su due assi e pregò e digiunò molto. Trovò lavoro in un deposito di legnami. Nel momento in cui decise di dare addio all’alcol, Matt aveva ventotto anni. Ne trascorrerà altri quarantuno nell’abbandono crescente all’amore del prossimo e di Dio, con il quale viene a vivere un’unione così forte da far pensare a lui, irlandese dalla testa ai piedi, come ad un anacoreta della primitiva Chiesa gaelica, trapiantato dalla Provvidenza tra le cataste di legname della ditta Martin di Dublino.
Di temperamento era allegro, piuttosto rozzo nei modi, e finì col dominare per la forza del suo carattere l’ambiente che lo circondava. Non rimproverava mai nessuno. Tuttavia lì dove lavorava i furti cessarono, il turpiloquio non si udì più. Durante i gravi disordini del 1913-1914 si mise al fianco dei lavoratori suoi compagni, offesi da crudeli ingiustizie, tuttavia si rifiutò di partecipare a manifestazioni e piantonamenti.
Si ritirava alle dieci e mezzo di sera, si alzava alle alle due per pregare, alle quattro si vestiva, verso le sei era a Messa, alle otto al lavoro. Lavorava intensamente e gli venivano affidati incarichi di sempre crescente responsabilità. Durante ogni intervallo pregava. Quando la madre con la quale divideva un misero alloggio in una casa popolare morì, si può dire che la sua preghiera si fece continua.
Ci rimangono le sue sgrammaticate annotazioni di carattere spirituale. Era quasi analfabeta, ma piano piano, chiedendo aiuto allo Spirito Santo, aveva acquistato una non comune conoscenza delle cose divine. Non sapeva scrivere senza fare errori, anche elementari, ma sapeva parlare con Dio. La sua lettura principale era la Bibbia, specialmente i Vangeli.
Trovò la maniera di farsi benefattore di chi era più povero di lui, riducendo al minimo le spese personali. Aveva innumerevoli amici e la sua carità non conobbe limiti. Si potrebbe definirlo così: «Gli uomini lo amavano, Matt non sapeva che farsene del denaro».
Nel 1925 morì di un attacco cardiaco per la strada a Dublino. Lasciò scritto: «Il Regno dei cieli fu promesso non a chi ha buon senso o è istruito, ma a a coloro che sono simili a bambini». Non c’è pertanto da meravigliarsi se, sceso il cadavere di Talbot – rivestito dell’abito di terziario francescano – nella fossa del cimitero di Glasnevin, compratagli dai gesuiti di San Francesco Saverio a Dublino, una reale fama di santità già esistente in coloro che avevano avuto la ventura di accostare Matt da vivo, venisse ad estendersi sempre più. Nel 1931 iniziò la causa di canonizzazione e il 3 ottobre 1975 papa Paolo VI proclamò le sue virtù eroiche. Oggi i resti di Matt Talbot riposano nella chiesa di Nostra Signora di Lourdes di Dublino.
Fonte avvenire.it