Ad Assisi come nella vicina Capodacqua dove è stato per quasi trent’anni fino al 2015 parroco nella chiesa di Sant’Apollinare, è ricordato ancora oggi come il “barbiere personale di Padre Pio”. Solo da qualche anno il molisano padre Carmine Maurizio, con un lungo passato nei frati cappuccini e oggi incardinato nel clero secolare della diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, classe 1930 avverte dentro di sé – a tanti anni di distanza – la sua gratitudine per l’amicizia intrattenuta con il santo stigmatizzato del Gargano a cui in fondo – ci confida – deve anche la sua vocazione al sacerdozio.
«Ero un bambino magro e malaticcio – racconta il sacerdote –. Il medico disse a mia madre che non poteva farci più niente e lei decise di andare a San Giovanni Rotondo dove molti compaesani si fermavano per incontrare un “padre carismatico”….». E aggiunge un dettaglio chiave su quell’incontro destinato a cambiare la sua esistenza.
«Lui mi prese in braccio anche se ero ancora in fasce, mi baciò e disse a mia madre Antonietta che non doveva preoccuparsi. Sarei guarito perché servivo al Signore. Fu una profezia». Infatti, a soli 11 anni, Carmine decise di entrare in “religione” – come si diceva anticamente – cioè di farsi frate. La scelta cadde sui cappuccini del Molise. Dopo il noviziato a Morrone, il liceo a Montefusco e quattro anni di teologia, il 21 febbraio 1954 venne ordinato presbitero a Campobasso. Dopo qualche anno per decisione dei superiori fu destinato al convento di San Giovanni Rotondo nel Gargano. «Per me – è la confidenza commossa – quell’assegnazione rappresentò un “ritorno a casa” perché ebbi il privilegio di mangiare con Padre Pio, mi confessavo da lui, spesso celebravamo la Messa insieme.
Era il mio padre spirituale. Per anni gli ho fatto la tonsura, ero il suo barbiere». Una stima, quella di padre Carmine, verso il suo antico direttore spirituale che ha radici antiche. «Quando l’allora provinciale dei cappuccini mi propose di andare in Svizzera a svolgere il mio ministero tra gli emigranti italiani, chiesi consiglio a Padre Pio e senza esitazioni mi rispose che quella era la volontà di Dio. Così partii e restai lì per 22 anni». Poi la decisione singolare di lasciare l’abito cappuccino e dopo un anno sabbatico vissuto ad Assisi di rimanere per sempre nella terra del Poverello come “semplice” sacerdote.
«Sentivo il desiderio di morire qui. E così con il consenso dell’allora vescovo Sergio Goretti mi sono incardinato in questa diocesi. Il presule di allora mi affidò la parrocchia di Capodaqua – racconta –. E fu così per quasi 30 anni». Da questo angolo d’Italia, culla di grandi vocazioni alla santità universale come quelle di Benedetto da Norcia e Chiara d’Assisi, padre Carmine manifesta ancora tutto il suo “grazie” per il frate di Pietrelcina. Non dimentica – a 50 anni dalla sua scomparsa – i momenti di tribolazione e di sofferenza che san Pio dovette subire con «esemplare pazienza e obbedienza» nella sua vita. E poi le stimmate. «Nel piccolo coro della chiesa c’era un crocifisso bellissimo davanti al quale Padre Pio pregava. Una mattina – è la rievocazione, – da quel crocifisso uscirono dei raggi luminosi e taglienti come spade: gli trafissero mani, piedi e costato».
Dal suo ricco album dei ricordi padre Carmine estrae questa ultima istantanea su sul “suo” Padre Pio – (di cui conserva ancora oggi una bellissima dedica; “Maria regni sovrana sopra il vostro cuore”) –: «Una volta si tolse i mezzi guanti, io riuscii a baciargli le ferite (le stimmate) e lui mi disse: “Guagliò, mi fai male”. Ma poi capì il mio gesto di affetto. Lo ringraziai anche per questo…».
Fonte www.avvenire.it/Filippo Rizzi