CALABRIA – CASSANO ALLO IONIO – “A sentire atei e agnostici di professione, noi cristiani – che facciamo iniziare la nostra avventura con la Pasqua – saremmo degli illusi. E, forse, il modo scialbo e senza entusiasmo, che accompagna certa nostra testimonianza al Signore Risorto, giustifica questo giudizio”. Lo ha sostenuto, ieri mattina, monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio e segretario generale della Cei, nella Messa di Pasqua. “Chi si lascia raggiungere e avvolgere dalla luce” dell’annunzio che Cristo è risorto – ha detto il vescovo – “sperimenta il miracolo di una vita ‘rimessa in corsa’, perché la Pasqua è essenzialmente questo: festa della vita ritrovata”. Per il presule, “miracolo di Pasqua, anzi il primo miracolo della Pasqua, Gesù lo compie in Pietro che – come si legge nella prima lettura – ‘prese la parola’. Pietro è reduce da un’avventura non esaltante: il tradimento. Ecco il miracolo! Il suo peccato non gli procura una condanna senza appello. Le lacrime hanno sgretolato la sicurezza precedente e gli hanno ottenuto il perdono”. Piaccia o no, ha fatto notare monsignor Galantino, “è tra uomini e donne fatti così che il Signore sceglie i testimoni della sua Resurrezione: uomini e donne consapevoli dei loro limiti e pronti a farsi rimettere in corsa da Gesù”.
“Se Pietro, grazie alla Pasqua, passa dal tradimento all’annunzio coraggioso fino al martirio – le donne, prime e grandi protagoniste della Resurrezione, vengono costrette dall’esperienza della tomba vuota ad uscire da una logica che è solo di affetto e di pietà, ma che è comunque la logica del ‘non c’è più niente da fare’ e quindi logica di rinuncia e di assuefazione”, ha chiarito il presule. Così “il loro andare di buon mattino al sepolcro e il loro non arrendersi dinanzi alla tomba vuota ci trasmettono il messaggio più autentico della Pasqua”. Perciò, “siamo chiamati a metterci in cerca di tombe vuote per scorgervi presenze ancora vive: giovani che sembrano… spacciati, adulti in disarmo, situazioni familiari sull’orlo del fallimento; siamo chiamati a metterci insieme per ribaltare pietre sepolcrali che impediscono che entri la luce del Risorto”. A partire da quello che è successo a Pasqua “non è possibile, e non è neppure giusto, cercare di incontrare Gesù come si incontra un morto, per quanto illustre. A noi non è permesso parlare di Cristo come si parla di uno del passato”. A partire dalla Pasqua di Resurrezione “veniamo piuttosto spinti a lasciare posizioni da retroguardia per rivestirci dello stile del Cristo risorto; quello stile di vita che i primi testimoni della Risurrezione hanno saputo fare proprio, diffondendolo e pagando di persona”. Fonte: Agensir