Debora Donnini – Città del Vaticano
“Dobbiamo guardare al mondo con gli occhi delle madri, con lo sguardo della pace”. E’ la forte esortazione di Papa Francesco espressa oggi 8 marzo, Giornata internazionale della donna, nel discorso alla delegazione dell’American Jewish Commitee, una delle più antiche organizzazioni di advocacy ebraica, impegnata nel dialogo ebraico-cattolico da tanti anni quanti ne ha la Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate, pietra miliare nel cammino di riscoperta fraterna, sottolinea. Un discorso nel quale il Papa dipana questo legame fra la pace e la donna, ribadendo, come ha fatto in altri discorsi anche recenti, l’importanza della donna e del suo sguardo sul mondo. Francesco sottolinea il suo “contributo insostituibile” nel costruire “un mondo che sia una casa per tutti”. La donna infatti “fa bello il mondo” e lo mantiene in vita.
Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri. Perciò il sogno della pace si realizza guardando alla donna. Non è un caso che nel racconto della Genesi la donna sia tratta dalla costola dell’uomo mentre questi dorme (cfr Gen 2,21). La donna, cioè, ha origine vicino al cuore e nel sonno, durante i sogni. Perciò porta nel mondo il sogno dell’amore. Se abbiamo a cuore l’avvenire, se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alla donna.
Preoccupazione per attacchi antisemiti
Per promuovere la pace e tutelare la vita, centrale è anche il dialogo interreligioso. Francesco non manca infatti di esprimere forte preoccupazione per la “recrudescenza barbara”, in vari Paesi, di “attacchi antisemiti”. Dice chiaramente che per lui è fonte di “grande preoccupazione” la diffusione in “più luoghi di un clima di cattiveria e rabbia” nel quale attecchiscono “perversi eccessi di odio”. Come la storia insegna, forme di antisemitismo, all’inizio appena sottese, possono condurre alla tragedia della Shoah, in cui “due terzi degli ebrei europei sono stati annientati”.
Dialogo interreligioso per pace, tutela vita, libertà religiosa
Il Papa poi evidenzia, come aveva già fatto precedentemente, che “per un cristiano qualsiasi forma di antisemitismo rappresenta una negazione delle proprie origini, una contraddizione assoluta”. Dialogo interreligiooso e collaborazione fra ebrei e cristiani sono quindi fondamentali:
Nella lotta contro l’odio e l’antisemitismo, uno strumento importante è il dialogo interreligioso, volto a promuovere l’impegno per la pace, il rispetto reciproco, la tutela della vita, la libertà religiosa, la salvaguardia del creato. Ebrei e cristiani, inoltre, condividono un ricco patrimonio spirituale, che permette di fare tante buone cose insieme. In un tempo in cui l’Occidente è esposto a un secolarismo spersonalizzante, sta ai credenti cercare di collaborare per rendere più visibile l’amore divino per l’umanità. E per attuare gesti concreti di vicinanza, contrastando la crescita dell’indifferenza.
Prima dell’omicidio, l’indifferenza
La risposta di Caino: “sono forse io il custode di io fratello” è emblematica proprio per far comprendere come “prima dell’omicidio che toglie la vita”, ci sia “l’indifferenza che cancella la verità”:
Sì, Caino, eri proprio tu il custode di tuo fratello! Tu, come tutti noi, per volere di Dio. In un mondo dove la distanza tra i molti che hanno poco e i pochi che hanno molto aumenta ogni giorno, siamo chiamati a prenderci cura dei fratelli più indifesi: dei poveri, dei deboli, degli ammalati, dei bambini, degli anziani.
Coltivare relazioni fraterne è chiamata di Dio
Fin dall’inizio del suo discorso, il Papa aveva ricordato che già al Concio Vaticano II, quando prese vita un nuovo orientamento nelle relazioni fra ebrei e cattolici, tra gli osservatori ebrei vi era l’insigne Rabbino Abraham J. Heschel dell’American Jewish Committee. Da intensificare quindi le relazioni fraterne, coltivarle “un dono e al contempo una chiamata di Dio”, afferma e in proposito racconta la storia di un giovane cattolico mandato al fronte durante la seconda guerra mondiale. Al rientro negli Stati Uniti mise su famiglia e comprò casa da una famiglia ebrea: sulla porta d’ingresso, racconta, c’era la Mezuzah, la pergamena con le parole dello Shemà sull’“amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (cfr Dt 6,4). Quello che di generazione in generazione non bisogna dimenticare. Questo padre, racconta il Papa, non volle che il piccolo “rettangolo” sulla porta fosse spostato: doveva rimanere lì, all’ingresso perché andava guardato ogni volta che si entrava in casa e si usciva: “custodiva il segreto per rendere solida la famiglia e per fare dell’umanità una famiglia”. Da qui il Papa esorta a creare questa atmosfera, “scegliendo con tutte le forze l’amore divino”, che ispira “rispetto e apprezzamento per la religiosità altrui”. “Non è buonismo, è il nostro futuro”, afferma con chiarezza.
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Formare i giovani al dialogo
In questo dialogo bisogna poi coinvolgere i giovani, desiderosi di nuovi ideali. Francesco pertanto sottolinea l’importanza della loro formazione nel dialogo ebraico-cristiano, un impegno comune che è anche uno strumento efficace per contrastare la violenza. In conclusione, torna a lodare l’impegno per il dialogo dell’associazione, con scambi proficui tra religioni e culture, tanto preziosi per il nostro futuro. Ad introdurre l’incontro, il saluto del presidente dell’AJC, John M. Shapiro, che ha espresso gioia e apprezzamento per le speciali relazioni “che – dice – abbiamo con la Santa Sede da più di mezzo secolo”.