Nel monastero di Sant’Isidoro di Dueñas in Spagna, beato Raffaele Arnáiz Barón, religioso dell’Ordine Cistercense, che, colpito ancora novizio da una grave malattia, con strenua pazienza sopportò la malferma salute confidando sempre in Dio.
La vita
C’è uno zio, particolarmente devoto e illuminato, sulla strada dello spagnolo Raffaele Arnaiz Baròn verso la Trappa. Non è che i suoi genitori non siano buoni cristiani, anzi: papà, ingegnere forestale di Burgos, e mamma, devotissima e dalla messa quotidiana, sono ricchi tanto di beni e di proprietà terriere quanto di fede viva e profonda. Ma è a zio Leopoldo, duca di Maqueda, che Raffaele apre il suo cuore.
Nato nel 1911, è un giovane esuberante, pieno di vita, intelligente e brillante negli studi, avviato ad una promettente carriera. In lui però si scorgono anche, chiari ed evidenti, i segni di una religiosità profonda, di una fede viva, di un forte desiderio di interiorità. Un ragazzo dalla comunione quotidiana, dalla prolungata adorazione eucaristica, dalla penitenza e dalla mortificazione ormai abituali. Ha imparato anche ad esercitarsi nella carità, cominciando da quelli a lui più prossimi, cioè le persone di servizio, per estendersi poi ai tanti bisognosi che sua mamma già soccorre ed agli altri che lui va a scovare.
#Vangelo (26 Aprile 2019) ❤️❤️❤️
Leggendo la biografia di un trappista francese che lo zio ha fatto pubblicare e facendo a 21 anni gli esercizi spirituali in una trappa, comincia a sentirsi irresistibilmente attratto verso questa vita di silenzio, preghiera e austerità. E’ naturalmente zio Leopoldo il primo ad essere messo al corrente della sua decisione di entrare nella Trappa ed il primo a gioirne, anche se poi la gioia si estende a tutta la famiglia, che pure avrebbe desiderato vederlo prima laureato.
A metà febbraio 1934 Raffaele entra come novizio nella Trappa di San Isidro di Duenas
Pieno di salute e di vitalità come sempre, scrive a casa di essere convinto che “Dio ha fatto la Trappa per me e me per la Trappa”. Confida a papà che quando è nel coro con i confratelli “possono passare ore e ore senza che me ne accorga”. Poi confessa candidamente a mamma di provare i morsi della fame, del freddo e del sonno, ma di non essersi “mai alzato da tavola così contento come in quei venerdì di quaresima in cui non abbiamo mangiato che pane ed acqua”.
La malattia
Eppure, incredibile a dirsi, in quel ragazzone che scoppia di salute si verifica il crollo della salute in meno di un mese. Arriva il diabete mellito a minare il suo fisico forte e in appena otto giorni perde 24 chili di peso. Lo rimandano a casa, malgrado la sua disperazione, dove si riprende in fretta, tanto da poter tornare nella Trappa, ma ormai le sue condizioni di salute sono incompatibili con la vita monastica.
Chiede allora di essere accolto come semplice “oblato”. Abitando a fasi alterne nell’infermeria come ospite (difatti papà pagherà per lui una pensione giornaliera). Con l’unica ambizione di “vivere la mia vita di infermo nella Trappa con il sorriso sulle labbra”, pienamente convinto che “il mio centro non è la Trappa, né il mondo, né alcuna creatura, ma solo Dio, Dio crocifisso”, offrendo e soffrendo da “oblato infermo e inutile..per i peccati dei miei fratelli, per i sacerdoti, i missionari, per le necessità della chiesa, per i peccati del mondo”.
La morte e il culto
Arso dalla febbre, divorato da un tormentoso senso di fame e di sete, fra Raffaele muore il 26 aprile 1938. Aveva appena 27 anni, dopo 19 mesi e 12 giorni di permanenza nella Trappa.
Giovanni Paolo II° lo ha beatificato nel 1992. I tanti scritti spirituali che ha lasciato fanno oggi di lui uno dei più grandi mistici del XX secolo. Benedetto XVI lo ha canonizzato in Piazza San Pietro l’11 ottobre 2009. (santiebeati.it)
Autore: Gianpiero Pettiti
Redazione Papaboys