“Siamo oggi riuniti in questo luogo terribile, dove i carnefici della mafia hanno sciolto nell’acido il bambino Giuseppe Di Matteo, per ricordare la sua barbara uccisione e quella di tutte le vittime innocenti della mafia”. Lo ha detto oggi monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, nella commemorazione di Giuseppe Di Matteo, a San Cipirello. “Questa celebrazione eucaristica – ha evidenziato il presule – vuole esprimere il nostro profondo dolore, la nostra vicinanza alla signora Franca e a tutti i genitori delle vittime innocenti della criminalità mafiosa, ma anche la nostra speranza nella sconfitta della cultura della morte e dell’affermarsi della cultura della vita”. Per l’arcivescovo, “urge formare una nuova coscienza di fronte alla mafia: qui la Chiesa deve ravvisare il campo specifico del suo intervento propositivo ed educativo”. È “compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo”. La Chiesa sente di avere “una sua responsabilità per la formazione di una diffusa coscienza civile di rifiuto del costume e della mentalità e non si sente estranea all’impegno, che è di tutta la società siciliana, di liberazione dalla triste piaga della mafia”. La Chiesa, in forza della sua missione, “non può non rivolgere anche ai mafiosi l’appello alla conversione e, quindi, mettere in atto quei passi che possono condurre i singoli mafiosi a tale conversione”. Tuttavia, ha avvertito monsignor Pennisi, “deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare impunemente la legge di Dio e quella degli uomini”. Nel suo appello alla conversione “la Chiesa non può non fare presenti le esigenze proprie della conversione cristiana, che “non può essere ridotta a fatto intimistico, ma ha sempre una proiezione storica ed esige comunque la riparazione”. Nel caso del mafioso, “la conversione comporta un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza; anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie. La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito sembra ignorare il dovere della riparazione”. Insomma, “la grazia del perdono è stata meritata da Gesù Cristo a caro prezzo – il prezzo della sua vita donata – e non può essere svenduta a prezzi di liquidazione”. a cura di Giovanni Profeta
Lotta alla mafia, Mons. Pennisi: ‘non svendere la grazia del perdono’
Di Redazione
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